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giovedì 27 novembre 2003

L’indignazione

a me non piace tanto.
Poi, naturalmente, certe volte mi indigno anch’io. Non dovrei? Che altro posso fare? Però io la considero una debolezza, mentre vedo che molti ne fanno un punto di forza.
Ha a che vedere col concetto di dignità: per molti è la cosa più importante di tutte: per me, scusate, ma la dignità è quel che ti resta quando ti hanno portato via tutto (quando finalmente puoi dire: “…ma non mi hanno tolto la mia dignità”). Stesso discorso per l’Onore: quando senti parlarne è perché è finita la trippa.
Poi è una questione di carattere. Esistono persone che risolvono i problemi così: si cacciano due urla, si esce sbattendo la porta, fine. Di solito si tratta di persone alte di statura e di pressione. Non dico che non mi piacerebbe essere così, ma sono diverso. Suggerimenti? Un corso di autostima? Enlarge my penis? Grazie, ormai mi piaccio così.
Quel che mi manca del resto non sono i centimetri, quanto piuttosto la famosa porta da sbattere. Per me l’indignazione è una stanza cieca: una volta che hai scelto di entrare, resti lì, e il Problema pure. Puoi sfuriare finché vuoi, il Problema rimane, e dopo un po’ comincia a guardarti sornione. Non esiste soluzione all’indignazione, a parte indignarsi un po’ di più, indignarsi un po’ di più, indignarsi un po’ di più… e poi? E poi basta. Dopo un po’ ci si calma, ci si asciuga la fronte, e si esce senza dare nell’occhio dalla stessa porta dalla quale si era entrati.

Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa?
Si costerna si indegna s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità...


In quella stanza siamo entrati in tanti due anni fa: e magari il fatto di essere in tanti ci ha dato coraggio. Bene: però la stanza è cieca: a parte tenerci compagnia e raccontarci barzellette, non c’è un granché da fare.
Questa è l’Opposizione. Perché, una volta non era così? Pensate agli anni Ottanta: non eravamo indignati nello stesso, identico modo?
Ecco: un’altra cosa che non mi piace dell’Indignazione è che crea una specie di Età dell’Oro, e io alle età dell’oro non ci credo, non ci voglio credere. C’è censura alla Rai? Non mi pare una gran novità. La Rai non è mai stata, mai, un monumento alla pluralità dell’informazione. Non c’è stata un Età dell’Oro della Rai. Ci sono stati momenti sì e momenti no: Bernabei probabilmente era un bacchettone, ma aveva un alto senso del servizio pubblico. E anche la lottizzazione di fine anni Ottanta, tutto sommato non era così male: su un canale Blob, sull’altro Sandra Milo; le differenze erano evidenti e potevi scegliere (invece oggi è tutto un insieme di Blob e Sandra Milo, mescolati: e per quel poco che si riesce a distinguerli, sono ancora lo stesso Blob e la stessa Sandra Milo, ma con vent’anni in più).
Allo stesso modo, ci sono stati momenti in cui i Guzzanti non avrebbero potuto apparire in tv, momenti in cui potevano stare solo in tarda serata, e momenti in cui potevano occupare la prima serata e picchiar duro: di solito col centrosinistra al governo. Questo non è qualunquismo, se mai è il contrario: questa è la Storia, senza età dell’oro.
Ho detto che mi piace? No. Ho detto che bisogna rassegnarsi? Nemmeno. Ho solo detto che non mi va di indignarmi per questo. Anche perché quel poco di indignazione che mi resta dopo le bombe a grappolo e gli scafisti non vorrei doverla consumare per il palinsesto televisivo. Che è importante, sì, ma non è la cosa più importante del mondo.

Quel che vorrei recuperare, è un approccio positivo ai problemi. Dove per positivo non si intende soltanto lo stato d’animo della faccina sorridente, ma anche “realistico, pragmatico”. Bene, abbiamo fatto la nostra sfuriata? Ci sentiamo meglio? Ora, visto che il Problema è sempre qui, cosa facciamo? Abbiamo una servizio pubblico tv che fa (male) la concorrenza alla tv commerciale; che si auto-penalizza perché la concorrenza è proprietà del presidente del Consiglio; abbiamo un Governo che, come tanti altri, soffoca gli spazi del dissenso: cosa facciamo? Indignarsi non basta, e non serve nemmeno.
Per la verità, qualcosa abbiamo fatto. Un esempio piccolo: parecchi hanno guardato Raiot sul satellite e su Internet. Una bella crepa nella civiltà dell’Auditel, che continua a parlare di “milioni di telespettatori”, quando ormai molta gente la sera guarda altre cose: dvd, satellite, internet… e c’è anche chi la sera esce. Se cominciassimo a pensare, tutti assieme, che la Rai (e Mediaset) non sono così importanti? Che non c'è nessuna cultura nazionalpopolare da monitorare ossessivamente per restare al passo coi tempi? Che i reality show non sono tutti pietre miliari nella storia della nazione? Che un programma di satira non è la rivoluzione? (Fermo restando il diritto per ognuno di guardarsi un reality show o un programma di satira). Certo, significherebbe rinunciare all’idea di Berlusconi tiranno mediatico. Però prima o poi dovremo rinunciarci comunque, perché il vecchio è cotto ormai.

“Tutto molto giusto, ma sono i satirici stessi, sono Luttazzi e la Guzzanti a ergersi a paladini dell’Indignazione”.
È vero, ma è anche inevitabile.
Per loro, a un certo punto, non è più in gioco la dignità, ma la sopravvivenza. È il meccanismo perverso della querela. A proposito: qualcuno ha capito su quali basi la Mediaset ha querelato la Rai? Poco importa. Nel momento in cui uno staff di avvocati ti querela per diversi miliardi, la reazione del tuo avvocato (o del tuo staff di avvocati) è d’intimarti il silenzio sull’argomento in questione. In seguito magari l’accusa cade: ma intanto tu sei stato zitto per mesi.
Se invece l’accusa resta, si parla di miliardi: e intanto hai perso un lavoro (in tv) e la possibilità di promuovere il tuo show, il libro, il film. Hai bisogno di liquidi. Il minimo che puoi fare più battere la grancassa dell’Indignazione. Non puoi andare per il sottile. Non te lo puoi più permettere.

Allora mi piacerebbe che invece di continuare a parlare di Censura politica, governativa, istituzionale… cominciassimo a parlare della Querela. Che è la più potente censura oggi in Italia. Ed è tanto più pericolosa quanto non è più in mano a un potere politico, ma ai soldi. Perché alla fine non è la Rai a tenere a casa Luttazzi o la Guzzanti, ma proprio lui, il Capitale. Oggi facciamo ancora fatica a capirlo, visto che Rai e Capitale sono rappresentati dallo stesso simpatico personaggio (che per giunta è un tipo all’antica, vedi come ha licenziato in tronco Biagi e Santoro). Domani le cose saranno più chiare. Del resto, si tratta di una novità? In tv si può fare di tutto, anche in orario protetto: sesso, violenza, chiacchiere, tutto. Tranne parlar male delle marche, specie quelle grandi. Ci si dimentica spesso che il primo problema di Luttazzi non è Berlusconi, ma il gruppo Cremonini, che ha chiesto 60 milioni di Euro per via di una battuta sulla mucca pazza (Mediaset e Forza Italia appena 20).
Lui ha reagito da guitto, d’accordo. Ma è un guitto: degnissimo mestiere. Ma noi? Trovate che sia giusto non poter parlare male di qualcuno, solo perché questo qualcuno ha i mezzi per potersi difendere? In tal caso, chi difenderà noi? Dove comincia la nostra libertà e dove finisce quella delle imprese di farsi pubblicità? Non sarebbe ora di cominciare a parlarne? Con calma, senza indignarsi, senza diffamare nessuno.

Oppure ci si chiude tutti dentro un palazzetto, si sbatte la porta, e il problema è risolto.

... non si è visto nessuno che ponesse una semplice domanda: scusate, il problema è questa querela di Mediaset? Vogliamo parlarne davvero? Dov'è questa querela? Su cosa si basa? (e al tempo stesso, magari, convocasse in riunione anche la Guzzanti e il suo staff invitando a trovare insieme un modo sensato per andare in onda, o almeno per non dare scusa alcuna e tantomeno il minimo alibi al Cda). E infine, nessun commento possibile per le dichiarazioni di gioia di qualche illuminato ieri all'Auditorium: "Siamo di più che al Palavobis". Chi si accontenta gode.

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