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venerdì 16 gennaio 2004

Titicaca Lake

Ero seduto lì, la radio mandava una canzone, mi sono ricordato di una cosa, mi è sembrato d’un tratto di capire qualcosa di fondamentale, di aver risolto un problema importante per me, per tutti, poi una gran luce, poi –

Let’s take break on the Titicaca Lake
Got some more in Ecuador
Stole a car in the streets of Panama
Went too far in Bogota


Devo stare calmo.
Devo stare calmo.
Devo stare calmo. Che non è successo niente.
Devo stare calmo. Che andrà tutto bene.

Io non mi sono perso. Io so chi sono. Io mi chiamo… tra un attimo mi verrà in mente. Ma so chi sono.
E so dove sono. Questo è un bar. È un bar che conosco. Sono già stato qui.
Questo è un bar fuori Porta Santo Stefano.
Quindi so cos’è un bar, e so dov’è Porta Santo Stefano. E so che non è la mia città, e che di solito non dovrei essere qui. Almeno credo. Io abito in un’altra città. Io abito… tra un attimo mi verrà in mente.

Però so altre cose. Per esempio conosco la canzone che danno per radio. È una canzone di qualche anno fa.
(Come faccio a saperlo?)
Dice A little weak
a little pale today
looks like it's time
for that certain holiday
.

È una canzone stupida che parla del Lago Titicaca. E' un lago sulle Ande. Ecco, non so come mi chiamo e so dov'è il Lago Titicaca.
E' una canzone che si ascoltava per radio nel… nel… io ero in un mercatone, e cercavo dei mobili. Cercavo dei mobili perché avevo preso una stanza a Modena. Ecco, vedi? Si chiama Modena. So anche l’anno. Ci sono andato all’inizio del Duemila. Ma oggi non è il Duemila, vero?

C’è il Carlino, appoggiato qui. Dice: gennaio 2004. È così.
Beh, cosa mi aspettavo? Le astronavi? L’uomo su Marte? La terza guerra mondiale? Quattro anni sono niente, per l’arredo di un bar. E se ora andassi fuori scommetto che troverei Bologna tale e quale, con tutte le sette chiese e le due torri al loro posto. (Ma è meglio se per adesso resto qui) È un mattino di gennaio limpido. Ha il colore di mille altri mattini di gennaio limpidi. Il clima più di tanto non dev’essere cambiato. There is no global warming.
Stamattina, perlomeno.

Sul giornale c’è Berlusconi. Da come ne parlano probabilmente al governo c’è lui. Questo è quasi consolante. Non mi devo essere perso un granché. E poi… Palestina… solite cose. No, aspetta. Autobomba in Iraq? Cosa c’è in Iraq? Gli americani? Beh, prima o poi sarebbe successo, no? Niente d’imprevedibile, direi.

E anch’io. Non devo essere molto cambiato. Quanti anni ho? Vediamo. Lo so. So quando sono nato. Perciò se oggi è il 2001 io ho… trent’anni. È così. Ho trent’anni.
E mi mangio ancora le unghie, pare. Che vergogna.
Altro? Non direi. Un po’ di pancia, è comprensibile. Mi sono appena tagliato i capelli e… forse qui sulle tempie ce n’erano di più ma… stessi occhiali. Ovviamente. È un periodo che tengo la barba. I vestiti… perché tanto nero? Non mi piaceva il nero.
Forse nel frattempo è passato di moda.
Le scarpe?
Non dico… no. Non sono brutte, ma… le ho prese io? Davvero?

Ora farò una cosa. Mi alzerò da questo tavolino, come se niente fosse, andrò al bancone e chiederò di pagare il… il caffè. Qui c’è una tazzina di caffè: ne ho appena bevuto uno, evidentemente. E probabilmente ne bevo troppi.
Mentre vado verso la cassa, mi guarderò attraverso i liquori nello specchio a muro. E so già cosa vedrò: capelli bianchi e rughe sotto gli occhi. Ho trent’anni, no?

Temevo peggio, dai…
“Ottantacinque”.
“Come?”
“Ottantacinque!”
“Ah, sì, scusi”.
Dovevo pensarci prima. Sono cambiate tutte le monete. Qui dentro probabilmente ne ho abbastanza. Ma non si sa mai, tiro fuori una banconota.
Sono strane. Sembrano nuove anche se sono spiegazzate. Dieci euro. Un caffè ce lo compro di sicuro. E mi dà anche un sacco di resto. Bene.
Ora, già che ci sono, senza dare nell’occhio tiro fuori la carta d’identità.

Cognome: OGNIBENE
Nome: DAVIDE
Cittadinanza: ITALIANA
Stato civile: ==========
Professione: ==========
Statura: 1,65


Beh, di crescere di statura non mi aspettavo, ma quei segni cosa vogliono dire? Non ho un lavoro? A trent’anni? E cosa ci faccio qui?
C’è una borsa qui sotto il tavolino. Non so, magari è mia. Ci do un’occhiata?
(E se non è mia?)
Di sicuro è mia. Era qui. Sono solo in questo bar.
(E se trovo qualcosa che non mi piace?)
Sembra leggera, allora… fogli. Manoscritti. Ma non è la mia callig… aspetta.

L’allevamento dei bovini in Europa non offre alti redditi. Vero. Falso.
Gran parte dei bovini europei vengono allevati allo stato brado. Vero. Falso
.

Sono compiti. Compiti di scuola. Quindi io insegno. Ho passato il concorso e insegno nella scuola… direi media. Ecco cosa faccio.
E siccome sono qui, e ho questi compiti nella borsa, io insegno in una scuola media di Bologna. Ma perché? Devo essermi trasferito.
Forse ho trovato una ragazza qua, e viviamo assieme. Può essere. Magari è una che conosco. Non mi viene in mente nessuno.
(Speriamo sia carina).
Del resto, di sicuro in tasca ho un mazzo di chiavi. Ecco. Mi sembrano le solite chiavi. Le solite squallide chiavi, se posso aggiungere. Ho trent’anni, vesto in nero, insegno a Bologna, e non mi posso ancora permettere una porta blindata. Ma non importa. La chiave della macchina è la stessa. Questo è importante.
Significa che non ho fatto incidenti gravi. Qui fuori da qualche parte c’è la mia vecchia macchina (magari con una multa).
Ma per ora non esco. Non è prudente. Devo aver avuto una cosa che non mi era mai successa prima. Non posso mettermi in macchina, ora, e poi per andare dove. (Dai miei. No. Si spaventano).

E poi cosa c’è qui… ma guarda! Un cellulare. Per forza non lo sentivo, è troppo piccolo. Prima avevo un affare più pesante.
(Prima quando?).
Con lo sportellino. Ho sempre odiato i cellulari con lo sportellino. Me l’avrà regalato qualcuno.
Adesso, appena capisco come funziona, posso chiamare qualcuno. Trovo la rubrica, e poi… i nomi me li ricordo, più o meno fino al Duemila.
Sì, ma magari chiamo qualcuno con cui nel frattempo ho litigato, e non ci parliamo da quattro anni, e poi un mattino sta lavorando e all’improvviso lo chiama Ognibene Davide: “ciao, ti ricordi di me? Ho un problema. Sono bloccato in un bar fuori porta Santo Stefano e non so come uscire”. Patetico. No.
Posso chiamare i miei genitori. Con loro non posso aver litigato più di tanto. E sono pur sempre i miei genitori.
Ma aspetta. No. Loro si preoccupano. E poi magari li chiamo e loro… quattro anni… non può essere successo niente di grave… non può… però.
Però succedono cose gravi in continuazione. Succede che io sono qui e da un momento all’altro non mi ricordo chi sono, e ricordo solo una canzone che avevo già sentito quattro anni fa. Per ora i miei non li chiamo. Chiamo mio fratello. Certo.
Doveva venirmi in mente prima. Se siamo nel 2004 lui fa l’università, ha la macchina, può venire a prendermi. Se c’è qualcosa che non va vedrai che lui trova il modo di dirmelo con le buone. Sa come prendermi. È una fortuna che c’è lui. Adesso lo chiamo.
No, aspetta. Qualcosa non va.
Non c’è il suo numero.

- poi buio.

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