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venerdì 18 giugno 2004

Ma quando cresci

A un certo punto i calciatori hanno smesso d'invecchiare. Si vede perfino dalle foto. O è un'impressione mia?

Ho qui davanti un almanacco Panini del 1984, con Bruno Conti in copertina. Bruno Conti, per me, è un uomo. È sempre stato un uomo. Mi costa fatica ammettere che quando vinse la Coppa del Mondo aveva la mia età. Riguardandolo, mi accorgo della muscolatura notevole, e dell'addome che sporge lievemente: negli anni Ottanta era ancora un attributo mascolino. E mi sembra un uomo, maturo e affidabile.

In fondo è una questione di punti di vista. Io guardo il mondo da un punto in movimento (anche voi, del resto). Attraverso il mondo precipitando, ma in mancanza d'attrito ho l'impressione di galleggiare fermo, mentre il mondo mi precipita intorno. E le cose più vicine appaiono distorte, una specie di effetto Doppler. A un certo punto la figura del calciatore si è distorta, è passata da eterno adulto (mio padre…) a eterno ragazzo, bambinone, pupo. Quando è successo? Provo a guardarmi indietro. Paolo Maldini.

Paolo Maldini, in effetti, sembrava non crescere mai. Il Tom Cruise, il Michael J. Fox del calcio italiano: quando comincerà ad assomigliare a un adulto? (Se ci rifletto bene, mi accorgo che gli sto chiedendo di invecchiare prima di me, di precipitare più alla svelta). Accanto a lui giocava Franco Baresi, l'ultimo grande adulto. Forse la generazione di mio padre finisce con Baresi (Franco), la mia comincia con Maldini (Paolo). E forse anche la mia è già finita. Da qualche anno in qua i calciatori mi sembrano tutti bambocci.

D'altro canto, non devo neanche dare eccessivo peso alla mia soggettività. Può darsi che siano davvero un po' tutti bambocci. Troppi soldi troppo presto, e un modello di giovanilismo estenuato, perché il calcio è marketing e il marketing punta tutto sul grande target giovanile. L'orecchino, il tatuaggino, l'acconciatura carina… e poi questi addomi concavi, questo nuovo modello di mascolinità fortemente innaturale (gli antropologi di domani guarderanno alle copertine di Men's Health come noi guardiamo le foto delle donne africane che si allungano il collo coi collari o gli aborigeni che si allungano labbra o lobi delle orecchie: "che strani gusti… mah… era la loro cultura").

Tutto questo non mi piace, non mi è mai piaciuto, sin dal primo momento, dal primo spot orientato su di me. Così guardo indietro, ai campioni del Mondo. Quelli sì che erano uomini. Giganti. Poi arriva Gigi Riva e mi scuote un po' di certezze.

Riva è una figura mitica per me, di quelle scolpite nel bianco e nero. Ieri, in un'intervista alla radio che non riesco a lincare, ha detto che Totti ha sbagliato, sì, ma che lui sa quanto le marcature a uomo possano essere esasperanti (il giornalista ricorda che Riva è il solo calciatore a essersi fratturato due gambe in maglia azzurra). Che Totti ha sbagliato, ma ai suoi tempi avrebbe spesso voluto prendere i suoi marcatori a rivoltellate. Che è giusto che Totti paghi, ma ai suoi tempi al fischio finale si metteva a rincorrere i suoi mastini, "e quattro o cinque li ho anche presi, non lo dico per vantarmi". Che non dobbiamo mitizzare la sua generazione, non era affatto più matura di questa. Sottointeso: quel che è cambiato davvero è la prova video.

La prova video. L'ossessione della diretta. Una telecamera fissa su Totti per 90 minuti. Un reality show su Totti. E quanto assomigliano ai calciatori bambinoni, i protagonisti dei reality show. Anche loro tengono stretta la pancia, portano orecchini e treccine, sembrano in grado di reggere lo stress della diretta, finché, prima o poi, sbroccano. Sono lì apposta per sbroccare, d'altra parte. È per questo che li guardiamo.

Bene, ho trovato il colpevole perfetto: il Grande Fratello. La ripresa televisiva moderna, invasiva e pervasiva, che ci rende tutti più patinati e più immaturi. È colpa sua se non vinceremo mai la Coppa del Mondo dei nostri papà (e nemmeno gli Europei). I nostri genitori probabilmente non erano dei santi, né dei campioni di eleganza: ma quando posavano per una foto si presentavano eleganti e ben pettinati. Così anche in campo, dove si picchiavano con meno complimenti di noi: ma il montaggio, compiacente, filtrava e ci restituiva un'immagine di uomini adulti e responsabili. Ma oggi la telecamera sempre in diretta restituisce ogni vaffa, ogni sputo. Tira fuori il peggio da ognuno di noi, perché è quel peggio che ci piace guardare. O no?

O forse no. È difficile descrivere la realtà mentre si precipita. Ma tante filippiche sul bel tempo che fu, si potrebbero riassumere in una sola frase: perdonatemi, sto invecchiando. I calciatori sono tutti più giovani di me, adesso. Non posso che trattarli da ragazzini. E mi dispiace per Totti, davvero. È dura rovinarsi una carriera per dieci minuti di follia.

Del resto i tempi cambiano, le mode si adeguano, e anche la tendenza del pupone irresponsabile potrebbe avere i giorni contati. La "mia generazione" si è ritrovata le strade e le case piene di telecamere, e non ha saputo fare di meglio che salutare con la manina, sputare e mettersi le dita nel naso. La prossima generazione troverà un modo di eludere anche questo controllo. Reagirà, crescerà, in modi e forme che io non posso nemmeno immaginare, e forse nemmeno capirò. Continuerò a precipitare brontolando che non ci sono più i calciatori di una volta, quelli che vinsero il Mundial.

(Ma se i puponi, nelle loro divise attillate, stringessero i denti e andassero avanti, sarei così felice di essermi sbagliato).

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