Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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giovedì 31 maggio 2007

what's your destiny

Chi ha ucciso Goku

Io di Goku mi ricordo bene.
Era un bambino col ciuffo e la coda: aveva tanti nemici e li abbatteva tutti, ma senza umiliarli: perché era forte, ma soprattutto perché aveva il cuore puro. Perciò ogni suo avversario alla fine gli restava attaccato; tanto che andavano tutti a vivere con lui, negli anni si era formata una specie di comune di eroi che le aveva prese da lui, e tutti gli volevano bene. Perché era il più forte, il più buono e il più affamato. Quando Satana si liberò dall’inferno, lui lo sconfisse e fu convocato da Dio in persona, che gli insegnò nuove mosse, ancora più potenti. In seguito crebbe e salvò il mondo varie volte. Quando il mondo non gli bastò più cominciò a salvare l’universo, da mostri via via più mostruosi, disegnati apposta da sceneggiatori senza scrupoli, per allenarlo sempre più: e se è vero che ogni tanto moriva, il suo cuore restava puro e il suo ciuffo alto – e un modo per risuscitarlo si trovava sempre.

Finché un giorno disse no, grazie. Sto bene dove sto, nel mondo dei morti ad allenarmi e a combattere coi morti, all’infinito. Era il migliore, nessun dubbio. Ma non so dire quando se ne andò, quale fu il mostro che lo mise davvero in imbarazzo. Doveva essere il più orribile, eppure non lo ricordo.

Ora invece ricordo un altro bambino, ma eri tu?
“No”.
Senza coda, ma col ciuffo, almeno cinque centimetri d’altezza conquistati ogni mattino con applicazioni intensive di gel. Un bimbo dal cuore puro e dal corredo coordinato: zaino di DragonBall, diario di DragonBall, astuccio di DragonBall, quaderno di DragonBall (ma a settembre non andava bene, ne serviva uno grande con le anelle, e il giorno dopo si presentò con il quadernone di DragonBall). Me lo ricordo bene, il piccolo Goku, mi sembra d’averlo davanti. Ma sicuro che non eri tu?
“Ma sì prof, era lui”.
“No prof, non ero io”.

Nove mesi sono passati, il ciuffo è ancora fermo a 150 cm., eppure guardati. Felpa nera e jeans firmati e… cosa stai facendo col bianchetto, guarda. Stai scrivendo col pennellino bianco D&G, D&G sul tuo astuccio nuovo.

Del resto ora che ti guardo hai tutto nuovo – quanto avrai fatto spendere ai tuoi, non dirmelo. Diario, quaderno, zaino, niente più Giappone. Altri mostri incombono, altre culture, altre sigle. D&G, credi che non lo sappia cosa vuol dire D&G? Io so tutto, perché sono il prof di italiano. Tutto, tranne le equazioni indefinite che lascia sulla lavagna la collega di matematica. Quelle le spugno via immediatamente, per il resto sono onnisciente: non c’è cosa che non so, e ogni giorno ne imparo una nuova.

Per esempio ora so chi fu il mostro che uccise Goku. Era un orrore a due teste, quattro zampe e zero eleganza. Era il peggiore di tutti, Dolce And Gabbana, dal profondo della Galassia Tamarra. Puzzava di svenevole eau de parfum, incantava con lo scintillio allo strass dei suoi accessori ghepardati: neanche il SuperSaiyan poteva resistere a tanto cattivo gusto. È stato lui.
Dolce lo avrà preso alle spalle, mentre Gabbana lo lavorava ai fianchi. Solo loro potevano farlo. Lo hanno ucciso loro Goku, lo hanno spazzato via dal tuo cuore.

Adesso vai, vai, scrivi pure griffe false sul tuo astuccio nuovo. Non c’è una nota disciplinare, per quello che stai facendo. Non posso neanche dirlo ai tuoi: Signora, suo figlio mi preoccupa un po’, tamarro ad 11 anni… Posso correggerti le doppie consonanti e gli accenti, potrei persino insegnarti un po’ di punteggiatura, ma non posso spiegarti perché la scritta D&G sulle mutande è il Marchio del Male. Se non c’è riuscito Goku, il più buono e il più valoroso, posso farcela io?

Vattene per il mondo, va. Suona la campana, è l’ultima. Arrivederci a settembre, e se ci arriverai con un altro zaino, pazienza. È bruciando le tappe che si arriva presto alla saggezza, o no? non lo so. Sono un prof, imparo solo una cosa al giorno.

Mi piace però pensarlo, da qualche parte, nell’oltretomba, non vivo ma in standby, che si allena, si allena, si allena. Un giorno tornerà, a vendicare i puri di cuore e a prendere a mazzate i cafonazzi che se le meritano. Quando verrà quel giorno, non fatevi trovare col marchio sbagliato sulla biancheria.

martedì 29 maggio 2007

"suggerisci una riforma costituzionale a caso"

La sarkosi

È inutile far finta di nulla, ci ha preso un po’ tutti (è importante premettere che in realtà questo Sarkozy non abbiamo la minima idea di chi sia veramente: ne sappiamo poco e leggiamo giornalisti che ne sanno di meno).

La malattia ha forma diverse, come la peste che può essere bubbonica o polmonare. Diciamo che l’impiegato del Quirinale che va in giro per Roma a menare gli straneri scortesi ha preso la sarkosi nella varietà “racaille”: oh! Finalmente anche a sinistra si valuta la possibilità di risolvere il problema stranieri non con i diritti di cittadinanza, ma con insulti e aggressioni preventive. Ecco, sì, apriamo un dibattito.

Altri in Sarkozy hanno visto la faccia nuova. Questo è fantastico, perché io dieci anni fa già bazzicavo la Francia e la facciona di gomma di Sarkozy ai guignols de l’Info me la ricordo benissimo. Se provate a dire a un francese che Sarko rappresenta “il nuovo”, vi guarderà strano. D’altronde è vero che è giovane, per i nostri parametri. E allora vai, vai coi giovani. Questa forma si chiama sarkosi giovanile, e voi ci siete dentro.
Voi avete il pallino delle persone. Le persone che non vi piacciono non vanno bene; occorre sostituirle con persone che conoscete voi. In pratica, l’unico reale inconveniente dell’establishment è che non ci siete ancora arrivati. La vostra è l’angoscia del Principe Carlo che invecchia mentre la regina non smolla il trono. Vi capisco, ma non la penso come voi.

Io sono piuttosto scettico nei confronti dell’unità-Uomo. Per me è materiale umano, plasmabile a seconda delle strutture. Io in effetti credo nelle strutture. La mia forma di sarkosi è forse più tenace della vostra, perché è strutturale. Si è attaccata alle ossa, al midollo. Mi preoccupa.
Da un po’ di tempo in qua per esempio mi sto convincendo di non vivere in una repubblica, ma in una

Dittatura parlamentare

Ho dato un occhio all’ordinamento: il Parlamento è il centro di tutti i poteri. Nomina il Capo dello Stato, un notaio che ratifica le leggi prima che siano pubblicate. Quest’ultimo deve consultarsi coi capigruppo per esprimere il Capo del Governo, un ragioniere che dopo aver ceduto i Ministeri ai partiti che lo hanno designato, deve rassegnarsi a ‘governare’ primus inter partes, con un contratto CoCoPro: in qualsiasi momento è licenziabile con un doppio voto di sfiducia. Di chi? Ma del Parlamento… i cui due presidenti, en passant, nominano persino il consiglio d’amministrazione della Rai.

In tutta la struttura, il Parlamento è l’unico organo a essere eletto direttamente dal popolo. È il budello della volontà popolare: tutta la sovranità che l’articolo 1 della Costituzione assegna al popolo, noi la trasferiamo unicamente lì, una volta ogni cinque anni. Da quel momento la perdiamo: l’articolo 67 in questo è categorico. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. È chiaro? L’on. Caruso potrebbe passare dopodomani ad AN senza venire meno a nessun vincolo nei confronti di chi lo ha mandato a Montecitorio. In pratica, ogni parlamentare è Re. Per cinque anni non deve riferire nulla a nessuno. Poi, in linea teorica, potrebbe essere decapitato dal popolo elettore. Ma ha avuto cinque anni per arricchirsi e prepararsi alla successione di sé stesso.

E allora: perché continuiamo a prendercela coi partiti? Dal 1989 a oggi li abbiamo cambiati tutti, e non è cambiato molto. La radice del problema non sono i partiti. I partiti sono agenzie di raccolta dei voti, finanziate dai parlamentari. Forse il concetto di partitocrazia è stato un abbaglio. Il nucleo del problema è il parlamento.
Cito da uno degli ultimi numeri di Internazionale (che cita La casta): “In Italia c’è un parlamentare ogni 60.371 eletti, ogni 66.554 in Francia, ogni 91.824 in Gran Bretagna, ogni 560.747 negli USA. La spesa per il Quirinale è di 217 milioni di euro, per la Corona britannica 56,8. Il Quirinale ha 1072 dipendenti, il Bundestag 160. Lo stipendio di Bush è di 22mila euro, Prodi 18mila, Blair 15mila, Zapatero settemila. La camera costava 140 milioni di euro nel 1968. un miliardo nel 2007. Un parlamentare guadagnava 1964 euro nel 1948, 15.706 nel 2006”. Se pensate che il problema sia degli uomini, non potete che concludere che l’atteggiamento predatorio dei potenti sia un carattere della cultura nazionale: a questo punto potete pensare che gli Uomini Giovani siano meno attaccati al soldo dei Vecchi (ma perché?) oppure semplicemente lasciar perdere, ci sono tanti altri bei Paesi in cui emigrare (è il dilemma di Scalfarotto: salvo l’Italia con la forza della mia gioventù, o me ne resto in UK dove i treni sono puntuali?)

Io invece mi ostino a credere che il problema sia strutturale: il rischio di un Parlamento elefantiaco e incontrollabile era già nero su bianco nella formula costituzionale che lo prevedeva come unico depositario della volontà popolare. Banalmente: i parlamentari si alzano lo stipendio e i benefits perché possono farlo, perché nessuno può impedirglielo. Benché spesso mostrino di volerne parlare, non si ridurranno mai le poltrone da soli: andrebbe contro a una logica di autoconservazione che è tipica non dico degli italiani, ma di tutti gli uomini e di molti altri organismi viventi.

Il simbolo umano della degenerazione della Repubblica in dittatura parlamentare è senza dubbio l’invitto Clemente Mastella, che col suo feudo elettorale, col suo due-e-qualcosa per cento, può scrivere l’agenda del governo Prodi, o mandarlo a casa se gli va. Per molti anni ci siamo raccontati che Mastella è un parassita del sistema: perché? Non approfitta di nessuna falla nel sistema immunitario. La verità, piuttosto pesante da accettare, è che Mastella è una normalissima cellula del sistema, che fa esattamente quello il sistema gli chiede di fare.

La dittatura parlamentare è decisamente la più sottile da individuare, perché in apparenza è tutto fuorché monolitica o totalitaria: nel Parlamento si accettano tutti, c’è spazio per comunisti, transessuali, oriundi argentini e separatisti alpini. Tutto è negoziabile, tutto è lottizzabile, e in teoria ogni cinque anni la sovranità ritorna al popolo. I parlamentari per ora questo non possono togliercelo – ma intanto sono riusciti a toglierci la preferenza sulle schede. Tempo al tempo.

Come siamo arrivati a questo? La centralità del Parlamento è un lascito dell’antifascismo: Mussolini non era diventato veramente Mussolini finché non aveva chiuso le aule sorde e grigie. Tolto di mezzo il puzzone, Togliatti e De Gasperi potevano avere soltanto due cose in comune: i voti dei lavoratori (e il lavoro infatti è il fondamento teorico della Repubblica) e la stanza in cui si parlavano. Col tempo il lavoro si è parecchio decentrato, ma la stanza è rimasta lì, in dotazione agli eredi.
All’inizio, peraltro, il sistema parlamentare rispecchiava l’identità di un’Italia realmente divisa in schieramenti organici e complementari: fino agli anni ’70 i partiti-massa da questo punto di vista hanno fatto il loro dovere. Votare PCI o DC (o PSI) significava entrare in una rete sociale, provvista di un sindacato, un circolo ricreativo, una polisportiva, un istituto di credito, un canale Rai... La lottizzazione, prima ancora che negli affari, esisteva nella società – perlomeno come progetto. Era un progetto abbastanza originale, e sarebbe stato curioso vederlo realizzato, ma fu accantonato negli anni ’80, quando il benessere ci convinse che l’Italia era diventata un’altra terra delle opportunità: nello stesso periodo i partiti di massa smisero di avere il polso del Paese. Si sono riciclati come agenzie elettorali, e tutto sommato da questo punto di vista continuano a funzionare abbastanza bene.
L’animosità verso il parlamento è sempre esistita. Negli anni ’80 c’era già chi parlava di presidenzialismo: erano Craxi e Almirante, entrambi a loro modo eredi di una corrente sotterranea antiparlamentare.
Poi ci fu Mani Pulite e la fase dei referendum (tra i quali, ricordo, l’abolizione dell’immunità agli onorevoli). Quello fu in assoluto il momento in cui il Parlamento rischiò di più l’attacco dei cittadini. Se fu in grado di riorganizzarsi negli anni seguenti, fu proprio perché non fu riconosciuto come il vero nemico: al parlamento facevano riferimento i più accaniti nemici della partitocrazia, i Segni o gli Orlando. Il risultato fu il capolavoro di una finta riforma elettorale: dal 1994 a oggi, noi entriamo nelle urne convinti di votare per Berlusconi o Prodi. Nei bollini delle schede a volte c’è persino scritto “Berlusconi” o “Prodi”. Ma in realtà non votiamo per loro: votiamo per i parlamentari che (in teoria, ma senza vincolo di mandato) dovrebbero votare per loro. Nei fatti Berlusconi o Prodi hanno dimostrato varie volte di essere ostaggi nelle mani dei loro Grandi Elettori. Dietro a un simulacro di elezione presidenziale, il Parlamento prospera e ingrassa.

E Berlusconi? All’apparenza, l’Uomo del destino contro i pigmei parlamentari. In realtà la sua traiettoria ha dimostrato la forza del Parlamento italiano, che dopo essersi mangiato decine di referendum, è riuscito a sopravvivere alla grande anche all’Uomo nuovo. E veramente, se c’era qualcuno in Italia in grado di soggiogare il Parlamento-Re, era lui. Perché non c’è riuscito? Forse perché – banalmente – è un cattivo politico. Le riforme costituzionali gli interessavano soltanto come moneta di scambio con D’Alema & co.; persino alleati parlamentari secondari come Bossi, o minuscoli come Follini, sono riusciti a metterlo in difficoltà.

In tutti questi anni io ho sempre pensato che la repubblica parlamentare fosse la meno peggio. L’avevo ereditata dai padri costituenti, per i quali nutrivo affetto e rispetto. L’alternativa presidenziale mi sgomentava: la personalizzazione della politica mi sembra un errore, soprattutto quando la Persona è Craxi, prima, e Berlusconi poi.
Adesso guardo a tutto con occhi nuovi. Il modello francese ha tanti difetti, ma mi seduce. Il ballottaggio ti permette di baloccarti con la tua identità al primo turno, e di scoprirti adulto e responsabile al secondo. Un Presidente legittimato da un’elezione popolare non sarebbe più ostaggio di nessuno. Basterebbe la sua ombra a indurre i parlamentari a più miti consigli quando si parla di aumentare gli stipendi.
Insomma, ci sono dentro fino al collo. Sarkosi presidenziale. È grave, dottore?

martedì 22 maggio 2007

un posto nel presepe

Storia di Mària

[È una storia, appunto, ogni riferimento a persone o cose è casuale].

Il primo a porre il problema fu il padre, che una sera – Mària aveva dieci anni – rincasando fetente di bar, le appioppò un ceffone. Senza un motivo al mondo. O meglio: Mària stava correndo verso di lui nel corridoio, blaterando di un compito di scuola o di qualche altra sciocchezza, mentre il padre aveva i suoi problemi, i suoi debiti di gioco, i suoi pensieri, e insomma S-ciaf!
“Perché non parli come un maschio?”

Mària non crede nei traumi infantili, via! un ceffone è un ceffone. Di sicuro non è diventato così per una sberla, tra mille che ne avrà prese. Ma da quel giorno cominciò pure qualcosa. Col ceffone il padre gli propose la questione fondamentale: chi sono i maschi? Cosa vogliono? Come parlano? A dieci anni Mària non ne aveva la minima idea. Sempre in casa stava, appiccicato alla sottana di mamma. Era ora di dare un'occhiata al mondo.

La curiosità lo spinse a vivere la ricreazione in un modo diverso. Di colpo in bianco smise di giocare alla settimana con le compagne, che pure teneva carissime, e si avventurò nell’angolo di cortile dove spallonavano i maschi di quinta. Qui trovò una conferma ai sospetti del padre: la sua voce non andava. Il timbro era lo stesso degli altri bambini, ma c’era qualcosa di stridulo, che paragonato al tenorile bofonchiare di Flavio Dusacchi lo faceva suonare affettato. Lo stesso soprannome, abbreviazione del comunissimo cognome “Mariani”, sillabato da quei monellacci assumeva una sfumatura equivoca. Né Mario né Maria: Mària. Un nome qualunque, eppure unico al mondo. Mària non lo avrebbe mai più abbandonato.

Per il resto non erano così cattivi, gli ometti di quinta. Mària se li ingraziava con merende supplementari e pacchetti di figurine. Ripensandoci da adulta, un poco la imbarazza questa totale mancanza di dignità. Ma stare coi maschi era troppo importante. Era fiera dei lividi che si portava a casa – i maschi avevano sviluppato un’arte marziale che consisteva in una sequenza infinita di ganci destri alle spalle. Mària era un punchball simpatico e disponibile, e lo sarebbe rimasto per anni. Da Bordon Diego imparò anche a bestemmiare Dio e i Santi: ma quelle sillabe magiche, ripetute da Mària, tornavano a suonare troppo simili a preghiere, e insomma, dopo qualche tentativo Mària lasciò perdere: la sua non era una voce da maschi. Anche il padre si rassegnò.

Alle medie il vocabolario maschile s’allargò all’improvviso, e Mària scoprì d’essere un finocchio, un ricchione, una checca, un busone: tutto questo senza ancora mai avere desiderato nessuno, né maschio né femmina: e poi dicono che il genere si sceglie. Mària si era rimesso a chiacchierare con le compagne, ora che i maschiacci evitavano anche solo di toccarlo, per via del contagio: fermamente convinti che lo sfioramento del busone comportasse un rischio per la loro virilità, passavano intere ricreazioni a inseguirsi urlando “sfiga-di-Mària-immune!” E altre cose simili che, in assenza di ricerche serie sul bullismo, gli insegnanti non notavano. Poi venne la fase degli odori.

Si ricorda molto bene, Mària, che molto prima di decidersi a guardarli, i maschietti cominciò ad annusarli.
Non ci poteva fare niente. Gli odori stanno nell’aria. Gesù ha detto di cavarti un occhio, se ti dà scandalo, ma non ha aggiunto di turarti il naso. Il sudore di D’Angelo era muschiato e dolcissimo. Germini Patrizio aveva una pelle spugnosa che tratteneva l’odore di qualsiasi bagnoschiuma, anche se quasi sempre era pino silvestre. Nel frattempo le sue compagne cominciavano timidamente a truccarsi: Mària aveva potuto contare fino a quel momento sulla loro complicità, ora qualcosa stava cambiando; iniziava a odiarle. I loro profumini le impedivano di concentrarsi sull’afrore ascellare di Verozzi. E c’era il problema delle tette, che iniziavano a catalizzare gli sguardi. In questo gioco di rimandi incrociati, Mària restava totalmente indisturbata, e aveva modo di osservare gli altri. I maschi la indispettivano, non riusciva più a capirli. Fino a qualche settimana prima non alzavano gli occhi dalle figurine, ora avrebbero dato il rarissimo Pietro Vierchowod per uno sfioro di tetta.

E i peli. Fu Dusacchi il primo uomo a porre il problema, nello spogliatoio maschile. “Mària, oh! Ma ti radi?”
Se avesse avuto il tempo, in mezzo alle risate dei compagni, Mària avrebbe risposto di sì: si radeva, perché cominciava ad averne tanto, e folto, e la imbarazzava in particolare quel ciuffetto che tendeva a salire in direzione ombelico; ma Dusacchi, biondo com’era, poteva capirlo? D’altronde, cosa stava succedendo? Da quando in qua nello spogliatoio ci si guardava in basso? Mària non aveva mai osato. Pensava che ai maschi non piacesse. E Mària stava facendo il possibile per capirli, i maschi.

Perché gli piacevano. Gli piaceva l’insolenza metropolitana di Dusacchi, la timidezza irsuta di Verozzi, l’accento nordico di Bordon quando con una presa al collo lo stringeva tra le braccia per un momento, sussurrando “busone di merda”. Tutto sembrava pronto per un’esplosione ormonale, che invece il liceo congelò: al riparo dai maschi, in una classe a stragrande maggioranza femminile, Mària si dimentico degli odori e riprese a cicalare con le amiche. Divenne il migliore confidente di tutte, perché effettivamente conosceva i maschi meglio di loro, e la frase “Tutti stronzi” in bocca a Mària sapeva più di vero. In compenso le ragazze le insegnarono a vestirsi con stile, a camminare nei corridoi come sotto i portici del centro, e viceversa.

Il quinto anno fu meraviglioso, Mària era diventata una sintesi di due sessi che le piacevano molto, e cominciava ad aggiungerci qualcosa di originale, di suo. Un pomeriggio d’aprile, mentre ufficialmente aiutava Barazzi Clelia a ripassare chimica (in realtà provando vestiti vintage eredità di una zia), si ritrovò abbracciata su di lei, nel letto di lei, e pensò che quello che la situazione le richiedeva era un bacio. Ma forse sbagliò i tempi, o i modi: non aveva mai baciato una ragazza – non aveva mai baciato nessuno! Clelia si irrigidì di scatto, se lo aveva desiderato era stato un attimo, un giorno, un anno, un millennio prima: Mària si ritrasse, avrebbe voluto scomparire, e in un certo senso davvero scomparì qualcosa in lei, per sempre.

Un mese dopo, in gita scolastica, Clelia venne a bussare alla sua camera. “Ti devo dire un segreto. Sono omosessuale”.
“Eh?”
“Si dice anche delle donne, non lo sai? Perché deriva dal greco…”
“Clelia, Clelia, lo so da cosa deriva. Ma cosa… come fai a saperlo”.
“Ho fatto sesso con Nadia”.
“Quella zoccola? Ma non vuol dire, è ubriaca da ieri, e poi… e perché vieni qui a dirmi questa cosa…”
“Volevo ringraziarti. Perché è stato grazie a te che l’ho capito… quel pomeriggio che tu hai cercato di baciarmi!”
“Clelia, senti, sei fatta anche tu. Perché non ti stendi un po’, ti riposi e poi magari domani ne parliamo con calma”.
Clelia russò tutta la notte, come a ribadire il suo omoerotismo conquistato e trionfante, lasciando Mària sveglia a scalciare i dubbi: ha capito che è lesbica perché l’ho baciata, o ha capito che è lesbica perché l’ho baciata da schifo? Le piaccio o no? Le piaccio come uomo o come donna? O le piaccio perché non sono né l’uno né l’altro? Oppure tutto sommato non le piaccio, visto che alla fine si scopa la zoccola dall’altra parte del corridoio? Oppure avevano ragione i maschi delle medie, l’omosessualità è un virus e io gliel’ho passato… sfiga-di-Mària-immune… che casino… ma sai che c’è? Io non ne voglio un cazzo… a me piacciono i maschi… l’odore dei maschi… queste ragazze con tutti i loro problemi mi stressano la minchia e basta… fammi prendere la maturità e poi non mi trovano mai più”.

All'università, in una città diversa, la bomba ormonale, pazientemente custodita negli anni di frustrante apprendistato, esplose con la forza di cento cavalli vapore. Da vergine a idolo delle feste nel giro di pochi mesi, finché – sorpresa – non si stancò. Piuttosto presto. La promiscuità lo attirava, e insieme lo lasciava insoddisfatto. Provò a farsi una storia seria: ci provò con tutte le forze. Andò persino a vivere con lui, un damsino di Matera con la fissa per il cinema tedesco. Durò due anni. Andavano nei locali dei gay, alle feste gay; a un certo punto a Mària sembrò di soffocare. Conosceva tutti, e non gli piaceva più nessuno. Avrebbe voluto entrare nel bar di una polisportiva, e guardare le partite della Fortitudo coi ragazzetti del quartiere, e invece doveva sgugnarsi la retrospettiva di Fassbinder. E non provare ad allungare quelle mani.
“Senti, io ti lascio”.
“SSsssst, è iniziato il film”.
“E non ce l’ho con te. Tu sei gentilissimo e bravissimo e assolutamente a posto. Il problema è che sei gay”.
“Anche tu sei gay”
“Lo so. Io però i gay non li sopporto”.
“E cosa ti piace, allora?”
“Mi piacciono i maschi”.
“E cosa pensi di fare?”
“Non lo so”.
“Prova con le tette”.

Il consiglio, totalmente gratuito, spiazzò Mària come l’uovo di Colombo. Ma per abituarsi all’idea ci vollero comunque un paio d’anni. Cominciò con un push-up, giusto per vedere l’effetto. Non male! Aveva la sensazione di portarsi un pezzo di mamma con sé, le dava un senso come di confidenza. Infine iniziò con gli ormoni. Vedersi cambiare fu spaventoso e fantastico: l’adolescenza, finalmente, a venticinque anni. E il risultato finale fu discretamente spettacolare. Ora Mària sarebbe piaciuta agli uomini.
Pensò subito di monetizzare il risultato: dei soldi aveva bisogno, e inoltre non conosceva molti altri modi d’incontrare persone sensibili alla sua nuova identità sessuale. Prese in affitto una mansarda e pagò un paio di annunci sul giornale adatto: era nata una stella. I primi utili furono utilizzati in un paio di altri ritocchi che Mària riteneva necessari. Perché aveva voglia di tornare a casa, e voleva tornarci perfetta, e magari irriconoscibile. Come una seconda nascita.

“Torno a spaccarvi il culo”.
Letteralmente. Nei primi sei mesi di attività, Mària si ritrovò a sodomizzare D’Angelo, che ogni tanto ne aveva voglia ma non si considerava un ricchione; Verozzi, che voleva provare “una volta l’effetto che fa”; Germini che sosteneva d’essere ubriaco e di avere litigato con la fidanzata, e che dopo mezz’ora ebbe una specie di orgasmo multiplo mai attestato nella letteratura scientifica; e Bordon, il rude Bordon, che lo incitava pure: “Dai! E dai! E spingi, busone di merda!”
“Ma allora ti ricordi di me?”
“Perché ti sei fermato? E spingi!”

Fu Dusacchi a riconoscerlo invece, dalle misure.
“Ma certo che lo so chi sei, eri quello che ce l’aveva più lungo di tutta la scuola”.
“Io?”
“E che pelo avevi. Ne avevi tanto che ti radevi. E due gioielli, grossi così, solo tu. Ci ho pensato per anni”.
“Ai miei gioielli”.
“Sì”.
“E non potevi dirmelo prima? Dovevi aspettare che mi facessi crescere le tette?”
“Mi piacciono le tue tette”.
“Ma non le stai nemmeno guardando! È un pretesto! La verità è che non ti piacciono le tette”.
“Certo che mi piacciono. Non sono mica un busone”.
“Sicuro?”
“O, vaffanculo”.

Il che, detto da Dusacchi, nella posizione in cui si trovava in quel preciso momento, suonava come il più enorme controsenso al mondo.
“Non darmi mai più del busone. Mai più”.
“Va bene, ora sssst”.
Ricapitolando: Mària cercava l’uomo vero, si è montata un par di tette da sogno, e adesso il suo mestiere consiste nel sodomizzare una manica di maschi repressi che hanno paura di chiederlo a un gay. Non vi girerebbero le palle? A Mària in effetti girano. Ma questi maschi chi sono? Cosa vogliono? Lei si aspettava protezione, energia, magari anche ceffoni. E questi giù, in ginocchio o a pecora, a implorare, spingi spingi, che roba è? Mària è molto delusa. Cambierebbe anche sesso, se gliene fosse rimasto uno da provare.

L’altro giorno, per incanaglirsi, sbirciava la diretta del family day, quando in uno scorcio rapido li vide: nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle. E a momenti sveniva, sul serio, perché un bambino coi capelli di Dusacchi e il labbro di Clelia era ciò che più si avvicinava alla sua idea di perfezione.
Eh, quanto è piccolo il paese. Dunque è Clelia l’oca-moglie a cui Flavio ama sputare ingiurie postcoitali. Ma non era lesbica? Si vede che s’era sbagliata – chi è Mària per giudicare. Ma chi sono Flavio o Clelia, d’altro canto, per dare lezioni di normalità sessuale? E perché ce l’hanno tanto con Mària, che in tutta la sua vita non ha mai tolto niente a nessuno? Dio probabilmente ha inventato la famiglia solo per vedere il sorriso dei bambini, e si dimentica alla svelta tutte le ipocrisie, le promesse e le minchiate che vengono prima o dopo. Gli uomini e le donne e gli altri però quaggiù hanno da vivere, raccontandosi bugie e tirando avanti – e finché funziona che male c’è? Ma funzionerebbe, la Sacra Famiglia Dusacchi, senza la mansarda di Mària che fa da camera di compensazione? Sul serio non c’è posto nel presepe per lei? Potrebbe fare il bue, un'altra creatura di sessualità incerta; ma senza di lui si moriva dal freddo, quella notte.

venerdì 18 maggio 2007

vivono tra noi


Amare i bambini


Noi siamo persone normali, persone buone. Abbiamo chi un cane, chi un gatto, chi almeno un canarino. E molti di noi hanno bambini. Sono belli, i bambini. Teneri, senza colpe. Sono angeli. Noi amiamo i bambini.
E questo ci riempie di angoscia, perché sono indifesi, i bambini. Se potessimo tenerli sempre con noi – ma non è possibile. Ogni tanto dobbiamo lasciarli andare fuori.
Fuori ci sono altre persone. Sembrano normali, come noi, ma non sono normali. Hanno un cane, hanno un gatto, come noi, ma sono mostri. Sono pedofili. Sono organizzati. Hanno libri e siti internet.
Adescano i nostri bambini. Li drogano, coi tranquillanti. Li costringono a fare cose che noi non riusciamo neanche immaginare. Davanti a una telecamera li molestano. Gli rubano l’infanzia e la felicità per sempre.
In una casa come la nostra c’è una stanza buia, in cui torturano i nostri bambini. Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Bidelli e benzinai sono d’accordo. Insegnanti e medici, custodi, obiettori, avvocati, preti. Non ti puoi fidare di nessuno.

I bambini di questo non parlano. Non esistono, alla loro età, le parole, per l’orrore che hanno dentro. Vorrebbero dimenticare.
Per salvarli dai pedofili, noi non li facciamo più uscire. Per aiutarli a non dimenticare, li chiudiamo in una stanza, e cominciamo con le domande. Quello che devono dirci, lo abbiamo già sentito da altri, a cui è successa la stessa cosa. Perché noi ci teniamo informati, sui libri e i siti internet.
Loro all’inizio non vogliono dire niente. Allora insistiamo. Li tempestiamo di domande.
Può durare un paio d’ore o un paio di giorni. A volte occorre abbassare la luce, e minacciarli. È durissimo ascoltarli quando ancora non vogliono parlare. È odioso riprenderli con una telecamera. Ma è l’amore che ci fa resistere, è l’amore che ci costringe a farli parlare. E alla fine l’amore vince sempre.
Arriva il momento in cui parlano. È terribile starli ad ascoltare, ma tutto quello che dicono di solito coincide. E non sono invenzioni. Tutti i racconti coincidono. Come potrebbero, bambini così piccoli, inventarsi dettagli così orribili. E sono sempre gli stessi! Chi può in buona fede pensare a un’invenzione? I bambini non mentono mai. Sono angeli.
Dopo aver parlato sono sempre molto scossi. Fanno fatica a uscire. A volte dobbiamo dargli tranquillanti, perché ciò che hanno ricordato, ciò che hanno vissuto in quella stanza buia è orribile. Resterà con loro per tutta la vita.
Ora però abbiamo il loro racconto. Lo metteremo su internet. Faremo girare anche il video, è giusto che tutti vedano, che tutti sappiano. Perché ci sono persone cattive là fuori.
Persone che torturano i bambini. Che mettono i video on line. Ci sono i mostri. Il mondo deve saperlo. E glielo dobbiamo dire noi.
Bisogna che tutti stiano attenti. Fuori c’è gente cattiva. Torturano i bambini. Dicono di amarli, ma sono i mostri.
Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Vigili e carabinieri sono d’accordo. Giornalisti e psicologi, giudici e magistrati. Di chi ti puoi fidare.

mercoledì 16 maggio 2007

virus is a language

L’orrendo contagio

Avviso
Sono capitano della polizia Prisco Mazzi. I rusultati dell'ultima verifica hanno rivelato che dal Suo computer sono stati visitati i siti che trasgrediscono i diritti d'autore e sono stati scaricati i file pirati nel formato mp3. Quindi Lei e un complice del reato e puo avere la responsabilita amministrativa.
Il suo numero nel nostro registro e 00098361420.
Non si puo essere errore, abbiamo confrontato l'ora dell'entrata al sito nel registro del server e l'ora del Suo collegamento al Suo provider. Come e l'unico fatto, puo sottrarsi alla punizione se si impegna a non visitare piu i siti illegali e non trasgredire i diritti d'autore.
Per questo per favore conservate l'archivio (avviso_98361420.zip parola d'accesso: 1605) allegato alla lettera al Suo computer, desarchiviatelo in una cartella e leggete l'accordo che si trova dentro.
La vostra parola d'accesso personale per l'archivio: 1605
E obbligatorio.
Grazie per la collaborazione

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Re:Avviso

Da: Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide
Egregio sedicente “capitano della polizia” Mazzi Prisco,
in relazione alla sua missiva elettronica del 16 maggio corrente anno, ore 10:27 antimeridiane, in cui lei mi notifica la mia “responsabilita [sic] amministrativa” per la complicità con un non meglio precisato trasgressore del reato di violazione dei diritti d’autore,

IO SOTTOSCRITTO
Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide, nato a Licata l’11/6/1949 e risiedente a Mondovì (CN), nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché intellettive e psichiche

CERTIFICO:
di essere nato a Licata l’11/6/1949 e di risiedere a Mondovì (CN), nel pieno possesso delle mie facoltà mentali nonché intellettive e psichiche;

NOTIFICO
Punto a: Di non avere mai collaborato con chicchessia trasgredente i sopradetti diritti, che in quanto sanciti dal Codice Civile sono nutriti nei miei confronti del deferente rispetto con il quale ho sempre onorato la legalità e tenuto fede al giuramento della mia Arma ecc. ecc.

Punto due: Di non essermi mai, a nessuna ora del dì e della notte, recato in “siti illegali”; di ignorare altresì l’ubicazione di codesti siti e di non essere giunto a formulare con certezza una supposizione sul perché i sopradetti siti dovrebbero essere raggiungibili mediante il mio Computer Portabile, regalo del mio nipote maggiore;

DIFFIDO
La sua persona, in quanto sedicente “capitano di polizia”, nell’imputare nei miei confronti responsabilità amministrative o penali, pena l’eventualità non inammissibile che io la denunci presso autorità competenti;

LE COMUNICO, ALTRESì ED INOLTRE
Di avere inviato per conoscenza alla Polizia Postale di Cuneo la sua missiva elettronica in allegato onde contribuire al fare luce su questo caso.

Nei Secoli Fedele, suo
TENENTE DEI CARABINIERI A RIPOSO NICUDI ALCIDE

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Fwd:Re:Avviso

Da: Cicci’82, polizia postale
A: Webmaster p.postale

Ciao, Nn so se t e gia arrivata questa ;-)))) Hai letto il tenente dei CC? FA SGANASCIAREEEE!
O provato a clikkare sul file allegato, ma nn e successo niente. Forse serve 1 programma che nn cho, boh :-((( Prova a clikkare tu, vediamo.

PS: T scrivo dal PC del mio collega, xké il mio nn funziona più. L. MI MANDI UN TECNICOOOOO?


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Re:Re:Re:Avviso
Da: Giacomo Panzetti, Polizia Postale Cuneo

Gentile Tenente dei CC a riposo Nicudi Alcide,
mi trovo costretto a inviarLe questa missiva in modo tradizionale, in seguito a un misterioso incidente che ha inficiato irrimediabilmente i server della Polizia Postale.
A causa del sopradetto incidente, non siamo stati in grado di determinare l’origine della misteriosa denuncia a lei recapitata.
Certi di poter contare sempre sulla sua preziosa collaborazione, le inviamo i nostri più cordiali sentimenti, suo
Ecc. ecc.


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Re:Re:Re:Re:Avviso
Gentile Giacomo Panzetti, Polizia Postale Cuneo
da: Tenente dei Carabinieri a riposo Nicudi Alcide

Cogliendo l’occasione per ringraziarla della sua pronta missiva, testimonianza quanto mai rara e preziosa degli ampi margini di collaborazione possibili tra membri di differenti forze dell’ordine, anche a riposo, purché tesi al bene comune e nel rispetto dell’ordine e della legalità,

APPROFITTO

della sua gentile missiva per porLe un altro quesito: proprio oggi, recandomi in posta, una signorina un po’ svogliata – probabilmente lavoratrice a cottimo o interinale – ha rifiutato di versarmi la somma richiesta, adducendo la risibile scusa che il mio conto era stato svuotato ed era chiuso: dettaglio, questo, assolutamente inverosimile. Mi perdoni la schiettezza del mio sfogo, da uomo d’ordine a uomo d’ordine, ma in queste ore confesso di struggermi non poco dinanzi alla domanda: Dove sono i miei soldi? Certo in una sua competente e pronta e risposta, la saluto, suo [Ecc. Ecc.]


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Re:Re:Re: Avviso
Sono capitano della polizia Prisco Mazzi. Mi scuso per il disturbo della mail dell’altra volta, giunta per sbaglio al suo indirizzo a causa di un virus nel nostro server. Una migliore ispezione a chiarito che i siti che trasgrediscono il diritto d’autore non sono stati visitati dal suo computer e che quindi lei non e punibile di nessun reato.
Per desinserire il suo nome dal nostro, conservate l'archivio (avviso_98666420.zip parola d'accesso: 1605) allegato alla lettera al Suo computer, desarchiviatelo in una cartella e leggete l'accordo che si trova dentro.
Ricordate inotlre di riempire il form con i vostri dati sensibili: nome, cognome, indirizzo e-mail, passwors di conto bancario principale. E obbligatorio.
Grazie per la collaborazione

(Ad libitum)
[Solo la prima mail è vera].

lunedì 14 maggio 2007

fammi andar fuori, come una vescica al sole

Proud to be dumb

Erano un milion
e, erano un milione e mezzo, ma che importa? Se l'Italia è il paese delle mille parrocchie, un milione non è nemmeno un granché. Forse i politici di sinistra avrebbero dovuto reagire facendo spallucce: un milione? Tutto qui? E i quotidiani di sinistra avrebbero dovuto titolare: Appena un milione a San Giovanni. Perché la battaglia delle idee si combatte così.

E invece no, un milione è tanto. Tantissimo. Perché va confrontato con un altro dato: i signori che sono andati in Piazza Navona perché orgogliosi di essere laici. Qualche migliaia di orgogliosi. Complimenti. Una curiosità: chi vi ha invitati? Da chi è partita l'idea? Tiro a indovinare: i radicali. Sempre così intelligenti. E così pochi. Così orgogliosi di essere in pochi a essere intelligenti. Tanto orgoglio e tanta intelligenza, non c'è dubbio, in Piazza Navona ci stavano stretti.

E' un po' come parlare del Sole. Sapete quanto è grande il Sole? Potrei darvi un numero, ma non vi direbbe nulla. Invece vi faccio vedere una foto: c'è un pezzo di sole, e un puntino azzurro a destra. Il puntino azzurro è la Terra. Ecco: adesso avete un'idea di quanto sia grande il Sole. Per farvi un'idea della sua grandezza, vi serviva un punto di riferimento. Qualcosa di relativamente molto piccolo.

Ora sapete anche quant'è forte il familismo militante cattolico in Italia, o, se preferite, quanto sia debole l'orgoglio laico. Il primo riesce a mobilitare mille volte più persone del secondo, nella stessa unità di tempo e in uno spazio contiguo. Se era una gara, l'orgoglio laico l'ha persa mille a uno. Chi dobbiamo ringraziare per questo bel risultato?

I radicali. Se non esistessero, andrebbero inventati. E siccome quantitativamente, oggettivamente, non esistono, ogni tanto io me lo chiedo: ma chi è che li inventa? E perché lo fa? E perché c'è sempre qualcuno così orgoglioso da cascarci? Mah. La mia risposta alla domanda è Mah.

giovedì 10 maggio 2007

sbatti il mostro in prima serata

Di solito, dopo gli strilli dei primi giorni, molti preferiscono non parlarne più, magari non pensarci proprio. È la maggioranza silenziosa che in questi giorni, quando sente parlare di Rignano Flaminio, sbuffa e cambia canale. È un atteggiamento perfettamente comprensibile, di fronte a fatti così gravi, che dopotutto non sono di nostra competenza. Ci sono i giudici, giudicheranno loro. Giusto. Spesso poi i giudici assolvono, ma al secondo o terzo grado di giudizio, dopo molti anni, quando il caso non è più seguito dai cronisti d’assalto che avevano sbattuto il mostro in Prima. L’assoluzione invece andrà tra le Brevi di cronaca. Questo fa sì che ancora molta brava gente sia convinta, in perfetta buona fede, che Marco Dimitri stia marcendo in prigione condannato per pedofilia. Dimitri invece è stato totalmente scagionato in non uno, ma due processi.

Ci sono però anche quelli che non riescono a smettere di pensarci, senza per questo essere in grado di formulare un giudizio ponderato. In questo momento sembra impossibile mediare tra le due possibili verità: o esiste una rete mondiale di pedofili che controlla scuole pubbliche e private, o si tratta di una psicosi di massa straordinariamente virulenta, che viaggia di città in città e ha effetti devastanti su bambini e genitori. Un compromesso sembra impossibile. Bisogna scegliere.

Per esempio, la redazione di Studio Aperto ha scelto di credere nell’Internazionale Pedofila, e le ha dedicato una lunga puntata di Live, martedì sera, molto difficile da seguire. Io ci ho provato, e mi sono trovato in un incubo. Questo tutto sommato potevo aspettarmelo. Forse non me l’aspettavo confezionato con tanta accortezza.

La professionalità di Studio Aperto

Lo Speciale non parlava solo di Rignano. Il filo della trasmissione si dipanava lungo una serie di casi più o meno simili, in Italia e all’estero. Episodi controversi come il caso di Brescia (tutti assolti meno uno) erano mescolati a casi acclarati e famigerati, come Marcinelle. Chi potrebbe schierarsi dalla parte del mostro di Marcinelle? Nessun riferimento alla lunga catena di processi a carico di maestre di scuole dell'infanzia negli anni 80 in USA, quasi tutti conclusi (dopo anni) con assoluzioni. Nessun riferimento a un episodio storico e importante come il caso d’Outreau in Francia, un processo fiume terminato col Presidente Chirac costretto a chiedere scusa agli imputati assolti per la “catastrophe judiciaire” (parole sue). Insomma, nessuno spazio a chi parla di psicosi di massa, perché chi parla di psicosi di massa non vuol credere ai bambini, e bisogna sempre credere a quello che dicono i bambini.

Invece agli avvocati non si può credere, e infatti ai difensori degli imputati di Rignano non viene dato il tempo di esprimersi: qualche frase tagliata, qualche ragionamento monco, ed è tutto. Volendo dimostrare la sua imparzialità, la cronista decide di seguire la fiaccolata di sostegno agli indagati, e nel montaggio riesce a far sentire due volte le urla dei carcerati di Rebibbia che dalle finestre gridano ai manifestanti “pedofili”. Il senso qual è? Qual è esattamente la credibilità dei carcerati, la loro competenza in merito? Eppure, cronometro alla mano, hanno avuto più tempo loro, per esprimere il loro parere, dei partecipanti alla fiaccolata: i quali davanti agli improperi dei galeotti battono in precipitosa ritirata. Questo almeno ci fa vedere il montaggio.

Non mancano gli esperti. Massimiliano Frassi, vero ispiratore del programma, che merita un discorso a parte. Don Fortunato di Noto, che avalla l’ipotesi di una rete pedofila mondiale. Sull’inchiesta di Rignano, però, non dice niente. Forse non glielo hanno chiesto. Curioso, perché qualche giorno prima al Giornale l’aveva definita “disastrosa” per le modalità con cui era stata condotta.

Uno dei momenti più ripugnanti dello Speciale è la testimonianza di alcune madri bresciane, che riferivano le violenze narrate dai loro bambini con dovizia di particolari. Secondo la giustizia italiana quegli episodi non sono mai accaduti: Studio Aperto ha deciso di riportarli ugualmente. È una scelta piuttosto forte.
Ora: io non credo nel mantra “ho fiducia nella magistratura”. Non ho nemmeno, se proprio devo dirlo, tutta questa fiducia metafisica nella magistratura, che è un’istituzione umana e quindi soggetta ad errori. Inoltre credo nella libertà di espressione – sono un blog, ci mancherebbe altro. Non discuto il diritto di Studio Aperto di schierarsi così apertamente dalla parte di genitori che hanno perso un processo. Avrei qualcosa da dire, magari, quando immediatamente dopo un noto sacerdote di Brescia viene duramente preso di mira dalla cronista perché crede nell’innocenza dell’unico condannato. Come si permette questo prete di non attenersi a una sentenza? Beh, se si permette Studio Aperto, perché non dovrebbe farlo un prete? Il problema è sempre quello: il prete, oltre a non credere alle sentenze, non crede ai bambini. Studio Aperto invece ha deciso di credere a qualsiasi cosa dicano i bambini, che le sentenze lo confermino o no. Del resto le sentenze vengono citare soltanto nei casi in cui rispettano i resoconti dei bambini. Ripeto, è una scelta piuttosto forte. Ma del resto è Studio Aperto. Alle undici di sera.

A meno che qualcuno a Mediaset non voglia seguire l’invito di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, che propone di replicare la trasmissione in prima serata. Copio e incollo dal sito dell’Osservatorio (ma i grassetti sono miei):

“Con sensibilità e professionalità da parte degli addetti ai lavori la trasmissione ha trattato il tema della pedofilia mettendo in rilievo aspetti mai fino ad oggi evidenziati dalla televisione. Un contenitore che ha permesso a pochi sonnambuli, vista e considerata l’ora tarda della messa in onda, di comprendere come e quanto la pedofilia non sia più da considerarsi patologia individuale ma aberranza collettiva e lobbistica. Per tali ragioni – continua il presidente dell’Osservatorio – è indispensabile che un pubblico più massiccio abbia l’opportunità di fruire di una delle produzioni più coraggiose, coscienziose e credibili che siano mai state trasmesse in Tv”.
Marziale chiede dunque ai vertici di Mediaset: “La riproposizione della puntata in prima serata allo scopo di favorire presso l’opinione pubblica il giusto grado di comprensione del fenomeno pedofilia ancora troppo sottovalutato”. Ecc.


Marziale è stato componente del gruppo di lavoro della "Commissione per l'assetto del sistema radiotelevisivo" del Ministero delle Comunicazioni per la stesura del "Codice di autoregolamentazione sulla tutela dei minori in tv". Memorabile fu la sua protesta per la proiezione della seria “Roma” in prima serata: troppa violenza, troppo sesso. Questo è molto curioso, perché in fatto di sesso e violenza lo speciale di Italia 1 non è certo secondo a nessuno. Uno dei punti clou è un’intervista a un detenuto per reati pedofili. Marziale deve aver pensato che il fine (salvare i bambini) giustificasse una dose di violenza, visiva psicologica e verbale, molto superiore a quella di un telefilm di legionari.
Quel servizio ha impedito a persone adulte di dormire, ieri sera. Marziale propone di farlo vedere a tutti. Naturalmente, “con i dovuti accorgimenti contemplati dalla normativa vigente in materia di tutela dei minori”.

Io sono di un altro parere.
Ripeto quanto detto la scorsa settimana: non posso sapere cosa è veramente successo a Rignano. Non ho gli elementi necessari: forse un giudice li avrà, io no.
Se preferisco pensare all’isteria collettiva, è forse per pregiudizio razionalistico, o perché istintivamente tra genitori e maestre parteggio per queste ultime, o forse solo perché mi piacerebbe che quei crimini non fossero stati commessi. In ogni caso non ho le prove per parlare di isteria collettiva. Ma so che in altre città, che in altre nazioni, si sono verificati casi d’isteria collettiva molto simili a quanto successo a Rignano.
E so anche come questo tipo di isteria può contagiarsi: attraverso programmi confezionati come lo Speciale di Italia 1. Che sembrano davvero fatti apposta per indurre al dubbio e all’angoscia la persona forse più fragile del mondo: il giovane genitore. In buona fede, naturalmente. Siamo tutti in buona fede qui. Si parla molto di buona fede in questi giorni, come se fosse l’acqua lustrale: come se l’umanità non avesse dato spesso il peggio di sé, in perfetta buona fede.

martedì 8 maggio 2007

salvare le api, fottersi dei panda

Achtung Knut

Voi popolo della pausa-pranzo v’immaginate che la Star assoluta del Tg2 delle Tredici sia, boh, Annamaria Franzoni? Il Principe William? Schifani? Macché. Chiedete a noi casalinghi cosa succede a premere il centro del telecomando all’una e venti: più forte del gossip, più forte della cronaca nera, più persistente dei portavoce di Montecitorio, c’è solo lui: Knut, l’orsetto bianco dello Zoo di Berlino.

(Lo so che voi gente còlta pensate subito al film di droga e poi agli U2: ma ci sono anche gli animali, allo Zoo di Berlino).

Altroché se ce n’è. A centinaia: ma adesso tutti vengono a guardare Knut. È bianco, morbido, tanto carino. Le nascite di orsi bianchi in cattività sono piuttosto rare. Knut in effetti è raro, ma non è unico: aveva un fratello gemello. Il punto è che la madre, dopo il parto, scelse di salvarne soltanto uno e scelse l’altro, che poi morì. E Knut? Sarebbe morto anche lui. È la natura, dicono. Natura? Che natura, è lo Zoo di Berlino. Dal momento che accetti di mettere in gabbia un animale, dal momento in cui scegli che un animale in gabbia è uno spettacolo, è inutile che ti poni il problema se l’animale si comporti in modo “naturale” o no. È lo stesso disagio del reality: metti in gabbia un tale e poi gli chiedi d’essere spontaneo. Perché le bestie dovrebbero essere spontanee? Naturali?

Insomma: che lo abbia fatto perché la Natura, matrigna, glielo ha ordinato, o perché l’Umanità, matrigna al quadrato, l’ha incattivita in una gabbia, fatto sta che l’Orsa Maggiore lo aveva ignorato, il povero Knut. Tanta malvagità materna è stata la sua fortuna, perché così il personale dello Zoo ha potuto adottarlo. E già dalle prime foto col piccolo Knut al biberon, si poteva intuire che era nata una stella. Bianca.
Ultimamente l’affare s’è ingrossato. Mentre il Principe William, per andare sul tg2, ha bisogno come minimo di ballare in pubblico con una sbarba, a Knut basta negarsi per occupare una striscia di tre minuti: il giorno che non si è fatto vedere, il tg2 ci ha fatto un servizio con tanto di riprese dei bambini che facevano la fila per non vederlo. È a causa del caldo, ha detto il giornalista. Perché anche il tg2 si preoccupa del riscaldamento globale.
Ma voi avete idea di che fonte di notizie sia un orsetto bianco? Pensate alla questione etica: è giusto salvare un orsetto che non si potrà re-inserire nella natura? Sì, no, mah. Minacce di morte a Knut dice il Bild: i soliti ecoterroristi? "Knut sarà morto a mezzogiorno". Macché, Knut è vivo e ingrassa. Anzi, rischia la bulimia. E così via, all’infinito.

Non saprei dire quand’è iniziata esattamente la conversione animalista del Tg2 delle Tredici. A un certo punto ricordo che Costume e Società si stava allargando ben oltre il primo stacco pubblicitario. Poi, lentalmente, gradualmente, gli animali si sono scavati una nicchia tra il nuovo imperdibile film della “sempre affascinante” Sharon Stone e la collezione Primavera-Estate (il grimaldello forse è stato Bruno, l’orso “naturale” che sconfinando in Germania e s’è fatto ammazzare. Non era affatto carino, lui: sgozzava il bestiame e causava incidenti stradali). Di questa svolta nessuno, che io sappia, si è lamentato: del resto non è che levando un po’ di gossip e mettendo due coccodrilli ed un ourang-outang tu ledi il servizio pubblico.

Inoltre gli animali piacciono, sono sempre piaciuti. Puoi mostrarli mentre si ammazzano, e nessuno griderà allo snuff. Puoi farli vedere mentre ci danno dentro, e nessuno griderà al porno. Non c’è nulla di più estremo di un documentario, e puoi mostrarlo anche ai bambini. Il tg2 in effetti si è specializzato negli animali pacioccosi, come i panda. Quest’anno torno presto a casa, e mentre apparecchio mi ascolto il tg2 e mi faccio una cultura sui panda. Voi avete mai pensato seriamente a cos’è un panda?
Un panda è un orsetto che si nutre esclusivamente di un tipo di germoglio di un esclusivo tipo di bacca, che naturalmente sta scomparendo. Un’altra caratteristica dei panda è che sono un po’ refrattari all’accoppiamento: non solo in cattività, dove cercano di invogliarli proiettando filmini di altri panda che si accoppiano (con risultati scarsi), ma anche au nature; perché, evidentemente, ai panda il sesso non piace.

A questo punto a me viene da fare due più due. A voi non viene? I simpatici orsetti (1) non mangiano e (2) non si riproducono. E rischiano l'estinzione? Io direi che la stanno cercando con tutte le forze; che sono disposti a qualsiasi sacrificio pur di ottenerla; e chissà, può anche darsi che abbiano ragione loro. La sopravvivenza dei panda non è un problema dei panda, ma degli uomini. Se riuscissimo a capire quello che ci dicono coi loro occhioni, probabilmente li sentiremmo grugnare: “Piantala di salvarmi: non hai letto Charles Darwin? Sono un perdente, perché non mi uccidi? Perché vuoi fare sopravvivere la mia specie in un mondo che evidentemente non m’interessa?
“Perché sei tanto, tanto cariiiiino”.
Questo è un problema tuo, non mio. Io non mi sento carino, è la selezione naturale che ha premiato quelli che avevano un manto un po’ bianco e un po’ nero, così. La stessa selezione naturale però mi sta facendo fuori, e vuoi sapere una cosa? A me sta bene. Per favore. Ci sono tante bestie importanti da salvare. I passeri. Le api. Se muoiono le api, muore tutto. Cambia il logo di quel cazzo di wwf, togli la mia faccia e metti le api”.
“Le api non sono carine. Tu sei tanto cariiiiiino! Fatti abbracciare!”
T’ammazzo. Se t’avvicini t’ammazzo. Giuro. Stupido uomo”.

Ci estingueremo anche noi, non per mancanza di risorse, ma probabilmente per un problema di priorità. Abbiamo le risorse per salvare l’orsetto dello zoo di Berlino, ma non per salvare le api e gli esseri umani. Ma se invece in qualche modo sopravvivessimo altri cento, mille anni, in che natura vivremmo?

Io la natura non so cosa sia. Quand’ero bambino un giorno sentii dire da mio padre “noi di campagna”, e rimasi interdetto. Fino a otto anni non mi ero conto di vivere in campagna. Vedevo canali dritti come fusi, e boschi di pioppi ordinati come denti di spazzola. Tutto era umanizzato, ma risaliva a un tempo in cui l’umanità era un po’ rigida, efficientista, cartesiana.

Tempi finiti. Se l’uomo sarà vivo tra mille anni, probabilmente vivrà in un mondo di animali super-pacioccosi, con occhioni graaandi e pellicce foooolte. Che c’è successo? Siccome siamo intelligenti, a modo nostro, abbiamo abolito la selezione naturale e l’abbiamo sostituita con la selezione dell’animale più pacioccoso. Il futuro è di Knut, tutto bello bianco, un amoooore. E dei panda. E dei koala. E delle lontre che si tengono per mano.

Gli ultimi uomini vivranno in accampamenti fortificati dispersi in prati verde smeraldo, con fiori sgargianti tutto l’anno che non danno mai pollini sgradevoli, e passeranno il tempo a difendersi con spade e lance aguzze dagli assalti di enormi peluche che chiedono coccole, coccole, coccole in continuazione. I figli di Knut. E voi Figli dell’uomo, attenti. Andateci piano, con l'affetto.

(i pezzi su Uccelli e api sono stati segnalati da Cragno; le lontre da Wittgenstein)

giovedì 3 maggio 2007

buh!

Roma è in preda al Terrore

Solo una brevissima per dire che anch'io, nel mio piccolo, non sopporto che il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby, mentre li ha concessi a Pinochet, a Franco e per uno della banda della Magliana. Anche se in effetti assieme a Gesù Cristo non c'erano due malati di Sla, ma due ladroni.

Ecco, l'ho scritto. E se questo fa di me uno stupido, pazienza, con tanta intelligenza che c'è in giro uno stupido in più non guasterà.
Se poi questo fa di me un terrorista, o beh, ci ho un po' fatto un callo. Se mi fossi fatto esplodere ogni volta che mi davano del terrorista, qui intorno sarebbe tutto buche e collinette. E' anche vero che la lingua ferisce, ma la mia in sei anni al massimo avrà spezzato un paio d'unghie. Comunque ok, sarò pure un terrorista.

BUH!
Paura, eh?
Dai Bagnasco, non sbiancare. T'han pure rafforzato la scorta, su.

Allora, questo è il tandem Ratzinger-Bagnasco. E dire che due anni fa, quando lo Spirito Santo nominò Ratzinger, io ero un po' contrariato. Temevo il passaggio da una Chiesa monolitica ma vagamente ecumenica a una Chiesa arcigna, arroccata sui suoi articoli teologici. Beh, ma son stupido davvero, mi sbagliavo.
Quella di Ratzinger-Bagnasco è una Chiesa un po' arroccata, sì, ma soprattutto capricciosa, petulante. Sa tutto lei, ti cita a memoria i discorsi di Alessio Comneno, ma al primo fischio trema tutta e chiama i carabinieri. D'altronde, come diceva un vostro rappresentante di categoria: uno il coraggio non se lo può dare.

E vabbè. Abbiamo sopravvissuto ai preti tutti d'un pezzo, sopravviveremo anche ai preti di gelatina. Del resto è da duemila anni che sopravviviamo ai preti, noi cristiani. Se non è una prova questa, che c'è Dio.

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