Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

martedì 30 dicembre 2008

Certi Hussein sono più uguali di altri

Trova l'errore

“Se qualcuno tirasse razzi nella casa dove le mie figlie dormono di notte, farei qualsiasi cosa per impedirglielo”.

Questo lo ha detto Barack Obama, quest'estate. E in quel momento era uguale a tutti noi. Chi non farebbe qualsiasi cosa per salvare le figlie.

Ma poi ha aggiunto: “...e mi aspetto che Israele faccia la stessa cosa”, perché era a Sderot, Israele, dove arrivano i razzi di Hamas che non precipitano prima sui palestinesi stessi: e aveva un elettorato ebraico da conquistare in casa, oltre a quel fastidioso secondo nome, Hussein, da far dimenticare; per cui è comprensibile, perfino perdonabile, che Obama abbia detto così.

E tuttavia in quel momento ha smesso di essere tutti noi, per concentrarsi su alcuni: gli israeliani. Con tutti i loro meriti e le loro colpe su cui non voglio annoiarvi stasera. Stasera vorrei solo riproporvi la stessa bellissima frase da un'angolazione appena diversa. Sentite:

“Se qualcuno tirasse razzi nella casa dove le mie figlie dormono di notte, farei qualsiasi cosa per impedirglielo”

Fin qui è uguale, e sacrosanto. Ma adesso provo ad aggiungere:

“...e mi aspetto che i palestinesi facciano la stessa cosa”.

Incredibile, no? La stessa frase: se leggi “Israele” ti votano Uomo più Potente del Mondo; se leggi “i palestinesi”, rischi una denuncia per apologia di terrorismo.

Mettiti nei panni di un palestinese qualsiasi, della stessa età di Obama, con due figlie come lui. Possiamo anche dargli lo stesso nome, Hussein. E quindi, Hussein, se qualcuno tirasse razzi alle tue bambine, tu avresti il diritto di fare qualsiasi cosa? Evidentemente no.

In effetti, c'è ben poco che potresti fare: la striscia di Gaza è una trappola di 50 chilometri per otto, chiusa su tre lati da Israele e dall'Egitto sul quarto, con la più alta densità di popolazione al mondo. Se uno Stato potente pianifica di bombardarti (Barak ha ammesso che il piano del bombardamento è di sei mesi fa), in modo massiccio, nell'ora in cui le tue figlie escono da scuola, tu cosa puoi fare? Hussein Obama farebbe qualsiasi cosa, ma tu, Hussein Qualunque?

Tu te la dovresti prendere con Hamas, certo, che ha contribuito a fare della Striscia di Gaza il recinto dei polli dei politici israeliani: quelli che in campagna elettorale vengono poi a mostrare quanto son bravi a tirarvi il collo. Ecco, sì, da occidentale abbastanza informato mi sento di dirtelo: dovresti prenderla con Hamas, Hussein.
Ma tu non mi puoi mica sentire, non ci sono giornali né luce né telefono; tutte cose che forse ti renderebbero più facile informarti e capire il gioco che Hamas e israeliani fanno con la tua pelle; e anche ammesso che tu l'abbia capito ugualmente, forse la guerra civile contro Hamas l'hai già combattuta e persa l'anno scorso, perché eri dell'Olp; e in ogni caso prendertela contro chi governa la tua disperazione servirà in qualche modo a mantenere più sicure le tue figlie? No, al contrario. E allora? Hussein Obama farebbe qualsiasi cosa, ma tu?

Tu non ne hai diritto. Gli israeliani possono buttare bombe nel recinto e ammazzarne altri trecento, tanto siete più di un milione: questo probabilmente rientra ancora nel “qualsiasi cosa” previsto da Obama. E tu?
Tu corri verso casa a perdifiato perché ti hanno detto che la scuola è andata a fuoco; sul portone ti inginocchi e ringrazi il Dio misericordioso, perché le hai sentite da dentro, sono salve anche stavolta: ed entrando la preghiera appena mandata giù ti si blocca nello stomaco, perché le sorprendi in camera mentre si stanno provando una pettorina, di quelle che hai visto altre cento volte, quelle da riempire di esplosivi.

E non farci la predica, papà Hussein. Se dobbiamo morire, almeno sia per difenderti. Lo sai che per te faremmo qualsiasi cosa.

domenica 28 dicembre 2008

davanti, Tutta la vita

Questa è esattamente quello che sembra:
la classifica personale dei film che ho visto al cinema nell'08. Credo davvero siano tutti qui. Anch'io avrei voluto vederne di più.

1. Tutta la vita davanti
Un film precario in precario Stato, che sbandando da tutte le parti si tiene miracolosamente in piedi fino alla fine e a distanza di tanti mesi lascia la migliore lezione su come si può raccontare oggi l'Italia agli italiani: pedale del grottesco a tavoletta, cast televisivo sfruttato al meglio senza nessuna vergogna, giovani bravi, nessuna nostalgia per nessun paradiso perduto. L'unico passato ammissibile è la Vhs di C'eravamo tanti amati, da prescrivere ai malati terminali. Vai così, cinema italiano.
(Il mio pezzo scritto a caldo, appena appena un po' entusiastico).

2. Wall-E
Quando esci da un cinema dopo aver visto Wall-E la macchina ti fa l'occhiolino, i semafori ti sorridono, i tergicristalli ballano per te, e se c'è un po' di nebbia ti sembra di guidare nello spazio. Un'esperienza così potente non la ricordavo da quando ero bambino e “il film di Walt Disney” era una realtà artificiale in cui galleggiavo per un'ora e mezza. Sì, e poi c'è anche il messaggio ecologista. Coraggio di sperimentare, umiltà di saperlo fare coi bambini, citazioni affettuose e mai fini a sé stesse: impossibile pretendere di più.

3. Gomorra
Il film che non ti mostra Napoli, ma che ha cambiato per sempre il modo di raffigurare e concepire la malavita sul grande schermo: da guerra di bande a piaga sociale, da vittime del sistema a sistema cannibale. Lascia che dicano che l'ha voluto la camorra: chi s'aspettava un altro romanzone criminale ha fatto malissimo i suoi conti. Visionario, certo, ma forse mi è piaciuto di più perché ha il coraggio di essere anche didascalico quando ci vuole. I ragazzini schiantano il cuore.
(Il mio pezzo).

4. Persepolis
Persepolis appartiene sin dai primi fotogrammi alla categoria film-che-non-vedi-l'ora-di-mostrare-in-classe, anche se ci sono le parolacce e una nonna mostra le tette; ma chi se ne frega: se Obama ci dovesse chiedere di bombardare gli iraniani (certo che potrebbe chiedercelo: e a lui non diremmo di no) almeno ci ricorderemo quanto sono simili a noi. Perlomeno i borghesi di Teheran, quelli che la rivoluzione l'hanno persa: vivreste in una città dove i lavavetri hanno diritto di vita o di morte su di voi?

5. Burn after reading
Caos e incompetenza si contendono il mondo: chi vincerà? Clooney e Pitt a mille miglia di distanza non solo dai loro ruoli tipici di Hollywood, ma anche da quelli un po' ironici della saga di Ocean, o impegnati dei vari Syriana o Babel, ridotti a due tragiche maschere di impiastri, e la cosa è buffa solo fino a un certo punto. Come sempre i Coen lasciano la sensazione di essere un po' più profondi di quanto non appaia... ma forse è davvero solo una sensazione. “Alla fine almeno abbiamo imparato qualcosa... ma cosa?” Gli spettatori ridono, poi appena si accendono le luci si fanno la stessa domanda.

6. Non è un Paese per vecchi
Il titolo sarà una delle frasi che restano del 2008, almeno da noi; sulla distanza mi sembra di ricordarlo con meno affetto dell'altro film dei Coen, forse per il finale troppo amaro; oppure perché Bardem diventa onnipresente e onnisciente e a furia di ammazzare tutti uccide un po' anche la trama. Detto questo, entra a testa alta nella mia personale categoria di film che gridano Tarantino-nasconditi.
(La recensione di Kekkoz)

7. Control
Lo so che non è del 2008. La precisione filologica con la quale Curtis e i Joy Division sono stati ritratti fa gridare al miracolo, ma rischia anche di conferire una falsa sensazione di oggettività. Io l'ho apprezzato soprattutto perché racconta quel momento in cui i sogni dell'adolescente mostrano il loro lato oscuro; quello in cui le pillole non sono più giocattoli ma rimedi che, maledizione, non funzionano; quando ti rendi conto che nessuno ti può più controllare, devi pensarci tu. Alcuni non ne sono capaci. Altri sì: andranno al tuo funerale, si faranno una bevuta, cambieranno nome al complesso.

8. Il Divo
Date ormai per scontate le impressionanti capacità di Sorrentino, devo ammettere che il Divo si prende una certa libertà con la Storia recente che è la stessa che m'infastidisce nella New Italian Epic, dando un perfetto esempio di uso del grottesco che non mi va: non a sostegno di una tesi, ma per tirarsi d'impaccio lasciando tutto in una comoda ambiguità. Insomma: alla fine il tenero bacio tra Riina e Andreotti c'è stato o no? La sequenza è così grottesca che sembra finta, la messa in scena di una falsa testimonianza... a meno che uno non ci voglia vedere il bacio vero a tutti i costi. E così ognuno vede quel che vuole vedere, persino Andreotti alla fine lo ha rivalutato. E a furia di usare Servillo non avete paura di consumarlo?
(La recensione di Secondavisione)

9. Non pensarci
A leggere la trama, il rischio di film generazionale bruttino 2008 era altissimo. Ma forse Non pensarci è esattamente questo: un film generazionale per trentenni, però realizzato nel modo migliore possibile, senza forzature e con qualche dettaglio originale, fingendo che tutt'intorno non siano stati prodotti chilometri di vacua celluloide sullo stesso argomento. Mettere nella stessa pellicola Mastrandrea e Battiston è un colpo basso: impossibile non voler bene a entrambi, anche se il primo non può prescindere dal romanesco e il secondo non riesce a prescindere da innamorarsi di puttane. Il finale, come l'ho visto io, è più tragico di quelli dei Cohen: per quanto s'arrabattano, i trentenni non riusciranno mai a combinare niente di adulto: deve per forza rifarsi vivo il padre. Sì, è anche la storia della mia vita, ma che tristezza.

10-24 non assegnati.

25. Racconto di Natale
Me lo dovete spiegare. Sul serio. In gennaio Secondavisione imponeva: basta famiglie disfunzionaline. E in dicembre eccoci tutti a sdilinquirci su una famiglia che... ma sul serio basta apparecchiare un po' di lutti, un trapianto di midollo, un triangolo romantico ad alto tasso di glicemia e un vecchietto che cita Nietzsche? Cioè, se per un due ore continuano a ripetersi gli stessi argomenti, questo significa profondità? Ma bisogna dire che al Filmstudio7b mi gelavano i piedi.

26-42 non assegnati.

43. La Banda Baader Meinhof
Ehi, ragazzi, ci hanno sprangato alla manifestazione! Poliziotti porci! Sai che c'è? Facciamo la rivoluzione! Pim, pum, tatatatata, filmatino di repertorio, tatatatat pum, bomba, comunicato, bomba, comunicato, campo d'addestramento in Palestina (ma solo in Palestina? Possibile che la DDR non c'entrasse mai niente?) tatatata, stacchetto su Bruno Ganz che forse è il capo della polizia ma non riesce più a staccarsi dalla faccia l'espressione di Hitler, tatatata! Arrestati! Galera! Porci! Impazziamo! Ci suicidiamo! Alla fine uno rischia di rivalutare Buongiorno notte: se devo spiegare il terrorismo ai giovani meglio le favolette un po' psicanalitiche che l'action movie (in particolare l'action movie tedesco, con quell'aria da Cobra 11). L'unica cosa interessante è che le dinamiche carcerarie sembrano quelle del Grande Fratello. No, niente Orwell, proprio del Grande Fratello con la Marcuzzi.

43-88 non assegnati.

89. Juno
Il pilota di un telefilm che non seguirei.
(Ne ho parlato anche troppo).

90. Caos Calmo
Un film che l'era Brunetta ha già reso datato: insomma, per tre mesi non vai a lavorare e alla fine ti fanno dirigente? A Roma funzionerà così. Devo dire che è stato un anno più duro di altri, ed entrare in sintonia con questi borghesi a lutto con la casa al mare mi era più difficile che in passato. Però insomma, anche a noi c'è morto qualcuno in casa, sono tragedie ma la vita va avanti. Dovevate dirci altro o è davvero tutto qui? Sulla penosa scena di sesso vedi pezzo allegato.

90-998 non assegnati.

999. Miracolo a Sant'Anna
Nella mia vita avrò film più brutti, è probabile: ma più sbagliati? Pesantissime teste di marmo che passano di mano in mano come palloni da basket; generali nazisti che se il negro si comporta bene gli regalano la Luger; donne italiane che fanno il bucato con le tette in fuori nel 1943 in Toscana; sceneggiatori americani che si puliscono il sedere con la pagina più delicata della nostra Storia recente; bambini uccisi per l'unico scopo di commuovere lo spettatore; tazzine di caffè che si rovesciano in slow motion rivelando il contenuto di un bicchierone di Stairbucks; contadini toscani che sotto i bombardamenti vanno in chiesa a ballare (e invitano i negri). Di fronte a tutto questo le critiche degli storici e dell'Anpi appaiono spropositate: è come se la Protezione Animali denunciasse Walt Disney perché in Dumbo i merli sono descritti con stereotipi razzisti. Su Piste proponevo di distruggere tutte le pizze e cancellare ogni sito internet che ne parla, e continuare a pensare a Spike Lee come a un grande regista, coi suoi alti e i suoi bassi.

mercoledì 24 dicembre 2008

Tempo di repliche

Questo blog ha i suoi tradizionali pezzi natalizi, i suoi Cantici di Natale e i suoi Tutti insieme appassionatamente. E basta, in effetti ne ha soltanto due:

* Ungaretti (Natale 2002)
* Gli spettri dei Natali passati (Natale 2006)

Ogni tanto bisognererebbe aggiungerne qualcuno, ma non è facile inventarsi un Natale diverso all'anno: come ben sa Neri Parenti.

lunedì 22 dicembre 2008

Fino alla prossima riforma, 2

Ma allora è tutto qui?

La riforma Gelmini, dicevo.
Una premessa: è il Natale del 2008, Berlusconi vanta un 75% di consensi, l'opposizione non è mai stata così timida, il sindacato non è compatto. Se si vuole buttar giù la scuola italiana e rifarla, questo è il momento. Non domani o dopodomani: oggi, o mai più! Chi nel baraccone dell'Istruzione Pubblica ci lavora da anni lo sapeva, e attendeva l'uragano con occhi sbarrati e orecchie tappate. Beh, adesso puoi aprirle: è passato. Ora, è chiaro che qualche danno l'abbia fatto. Ma la prima reazione è quella di guardarsi intorno increduli: tutto qui?
Attenzione, però, guai a fidarsi della prima reazione. Può darsi che qualche trave debba ancora caderci in testa.

Scuola elementare (ne parlo da osservatore esterno, non me ne intendo): come lungamente annunciato, non si parla più di maestro unico, ma di maestro prevalente. Qui, come altrove, il governo ha minacciato cento per ottenere cinquanta, sessanta, vah. Magari si è trattato di una normalissima strategia di contrattazione; ma dimostra che su certi argomenti (quelli che coinvolgono gran parte dell'elettorato, come la scuola elementare) Berlusconi non ha nessuna intenzione di picchiare duro. Non credo che a destra sia sopravvissuto qualcuno dotato di abbastanza senso critico per notarlo, ma c'è un bello scarto tra la retorica brunettiana dei maestri fancazzisti e quello che alla fine si taglia davvero.

Scuola media (qui sono un osservatore interno, ma è possibilissimo che non mi sia ancora accorto di qualche trave). Ci si aspettava di peggio. Per esempio: la Gelmini non doveva abolire Educazione Tecnica? No, macchè, avevamo capito male. La materia (di cui, a proposito di riforma, Gentile non aveva mai sentito parlare) resta lì, con le sue due ore settimanali, le sue assonometrie cavaliere, i suoi laboratori di informatica in cui la prof tenta invano di attirare attenzione sulle animazioni di WordArt mentre i ragazzini chattano con messenger. Si può discutere all'infinito sull'utilità dell'Educazione Tecnica. Ma, appunto, sono discussioni: se sei un ministro e intendi abolirla, l'unico vero problema che ti si pone sono le risorse umane. Licenziare i prof è inammissibile, Berlusconi non è mica la Thatcher. L'ipotesi di infilarli nella graduatoria dei colleghi di matematica (ovviamente davanti a laureati in matematica più giovani e meglio preparati) è sfumata: qualcuno deve aver fatto due conti su quanto sarebbe costato organizzare corsi di aggiornamento dignitosi per tutti.

Morale: non si possono fare riforme strutturali al risparmio. Al massimo si fa qualche taglio – ma anche lì, siamo in controtendenza. La Moratti pensava che la scuola fosse un'azienda, e si comportava di conseguenza come una manager neoliberista anni '90: tagliare, razionalizzare, esternalizzare, privatizzare. Oggi non credo che la differenza tra scuola e azienda sia più chiara al Ministro: quel che è chiaro è che le aziende anni '90 sono comunque andate a scatafascio, e quindi si naviga a vista. Spender soldi no, ma tagliare seriamente creando conflittualità nemmeno, e quindi cosa? L'unica cosa che sanno fare bene Berlusconi & co.: promettere.

Prendiamo le cinque ore settimanali di inglese, fiore all'occhiello della riforma. Si tratta di un monte ore di tutto rispetto, degno di un linguistico (pensate che ormai le ore settimanali di italiano sono sei). Anche il rapporto prof-studenti cambierebbe radicalmente: oggi un prof di inglese ha sei classi da interrogare e verificare, quasi una catena di montaggio. Passare a cinque ore significherebbe ridurre le classi da sei a tre (e mezza). Insomma, ci sono tutte le premesse per un radicale salto di qualità nell'insegnamento dell'inglese. Fantastico! Ma perché non ci abbiamo pensato prima? Perché abbiamo lasciato che i nostri ragazzi studiassero tre ore una lingua straniera e due ore un'altra, senza poter imparare bene nessuna delle due?
Per una questione di organico, come al solito. La scuola media ha un annoso problema: lo smaltimento degli insegnanti di francese. Il problema è noto: ancora 35 anni fa si riteneva che il francese fosse la lingua del futuro, e si assumevano insegnanti in conseguenza. Oggi che nemmeno i francesi ci credono troppo, quelle prof sono ancora tutti in cattedra. Quindi? Forse che la Gelmini ha proposto di prepensionarle? No, assolutamente: anzi, c'è rischio che Brunetta prolunghi loro l'agonia, con questa storia dei 65 anni. Si tratta semplicemente di aver pazienza e aspettare che si esauriscano, ad una ad una, cedendo le loro due ore all'insegnamento dell'inglese, “compatibilmente con le disponibilità di organico e l’assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria”. Ecco, questo è veramente sleale. Come promettere una psp al figlioletto e poi allungargli cinquanta euro: compratela pure, compatibilmente col tuo ridicolo budget. Allo stesso modo la Gelmini va in tv a promettere ai genitori qualcosa di favoloso che i presidi potreanno realizzare soltanto “compatibilmente con le disponibilità”.
E i presidi ci proveranno anche, a realizzare la classe all-English (specie se i genitori ci tengono molto, nei centri dove più scuole si disputano le iscrizioni): ma non sono onnipotenti, e senz'altro non possono accoppare le prof di francese che non hanno maturato la pensione.

Morale: se state studiando francese, non pensate giammai di poterlo insegnare nella scuola dell'obbligo (ma quello credo lo sappiate già), la graduatoria resterà bloccata per decenni; se vostro figlio deve andare in prima media, e pensate che fargli studiare inglese cinque ore alla settimana sia una buona cosa, drizzate le antenne: non tutte le scuole potranno attivare una classe del genere, e quelle che ci riusciranno facilmente vi metteranno in lista di attesa. È possibilissimo che le classi all-English diventino il nuovo status symbol; quello che oggi sono le classi musicali, o in certi casi quelle di tedesco: classi di un certo livello, dov'è meno facile incontrare bimbi col cognome strano o straniero. C'è poi un lieve vantaggio per le scuole paritarie: loro (credo) possono licenziare la prof di francese, lo Stato no.

Ho scritto troppo? Un'ultima cosa. Sentite qui:
Art. 7 L’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, previsto dall’art. 1 del decreto legge n 137 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 169 del 2008, è inserito nell’area disciplinare storico-geografica.

Ci vuole una discreta faccia tosta a spacciare come una novità epocale l'insegnamento dell'Educazione Civica. La Gelmini ci ha provato. Almeno speravo che tanta insistenza sulla Cittadinanza e la Costituzione si traducesse in un'ora in più per il povero insegnante di Italiano, che deve concentrare grammatica, geografia, storia ed educazione civica in dieci ore alla settimana (e deve anche infilarci un bel libro, o una poesia): e invece no; l'orario passa da dieci ore a nove più una, che se non sbaglio fa sempre dieci (però il discorso lì si fa molto più complesso: vi basti sapere che se quella decima viene a mancare saltano un sacco di cattedre, compresa forse anche la mia). Ogni tanto dovremo fare lezioni sulla Cittadinanza o sulla Costituzione che in effetti non avevamo mai smesso di fare, prima durante e dopo qualsiasi riforma. L'unico danno sicuro per ora è la delusione sulla faccia dei ragazzi, sempre amanti del nuovo, che avevano sentito in tv di questa inedita materia chiamata Cittadinanza e la Costituzione e speravano in qualcosa di eccitante, e invece si ritrovano la stessa lagna dell'anno scorso: il prof col gessetto alla lavagna che spiega la differenza tra Legislativo ed Esecutivo.
(L'ho fatta lunga anche stasera, alla prossima).

domenica 21 dicembre 2008

Fino alla prossima Grande Riforma

Contra Gentilem

La media credo sia di due su tre.
Ovvero: due ministri dell'Istruzione su tre, appena insediati, avvisano che stanno per varare una riforma. E ogni volta, infallibilmente, si tratta della tanto attesa riforma della scuola gentiliana.
Se ci pensate, è curioso: da almeno 40 anni non esiste più l'Avviamento, e le scuole speciali per portatori di handicap sono quasi del tutto scomparse; insomma, gran parte di quella che era la scuola gentiliana non è più che uno sbiadito ricordo nelle conversazioni coi nonni, eppure no: ogni volta che si annuncia una riforma, dev'essere per forza la prima da Gentile in poi. Ma perché proprio Gentile, perché non Casati (1859) o Carlo Magno (800 dC)? Non si sa; però Gentile era fascista, quindi Gentile=male. Sarà questo. Sarà che ogni ministro forse non fa che riciclare i libri usati del precedente, con gli esercizi già fatti a matita, e quindi ripete le stesse frasi.

La cosa ha dei risvolti perfino comici: per esempio in questi giorni i tg ci hanno avvertito che gli istituti magistrali cambieranno nome e si chiameranno Licei Umani (o delle Scienze Umane). Al di là di ogni discussione sul nome (io pensavo che gli umani fossero i classici, ma sul serio, non importa), chi li frequenta lo sa: gli istituti magistrali non esistono più dai tempi della riforma Berlinguer: ora di solito si chiamano licei sociopsicopedagogici. Che non è un bellissimo nome, anzi fa paura ai genitori ("Cos'è quel liceo lì? pedofilo? psicotico? Ma se lo frequenta cinque anni, poi guarisce?"), e quindi si poteva benissimo andare davanti alle telecamere e dire: “cambiamo il nome dei sociopsicopedagogici”. Non ci sarebbe stato niente di male, i nomi brutti si cambiano... Ma no, si torna sempre a Gentile. Per riformarlo, ovviamente. Però si torna a Gentile.

Forse perché (sostiene qualcuno) l'unica vera riforma è rimasta la sua, e quelli successivi sono stati maquillages, a volte nemmeno concretizzati. Io non sono d'accordo: credo che la scuola uscita dagli anni '60-'70 sia profondamente diversa da quella gentiliana, e che negli anni successivi ci sia stato viceversa un ritorno a Gentile. Però è vero che dal ministero partono troppe riforme perché possano diventare tutte operative. Il caso più eclatante è quello della Grande Riforma Moratti.

La Grande Riforma Moratti aboliva la riforma Berlinguer – De Mauro e si presentava come l'unica vera riforma della scuola italiana dai tempi di Gentile; è stata messa a punto dal Ministro Letizia Moratti e da un ampio staff di consulenti; ha coinvolto insegnanti e genitori in lunghissime, estenuanti discussioni, per quasi cinque anni ('01-'06); ha influito anche sull'editoria scolastica, che ha iniziato a sfornare e a vendere ai genitori le “Schede per il portfolio”; e al termine di tutto questo non è mai stata applicata. Sul serio, agli studenti non è arrivato quasi niente, se non il nervosismo dei prof. reduci da qualche riunione noiosa o inutilmente infiammata. Uno spreco di risorse paragonabile a quello di una grande opera – ma quelli almeno lasciano qualche traccia all'orizzonte, colonne di cemento che ricordano al viandante la superbia dei mortali. La Moratti no, ha succhiato risorse per cinque anni e non ci ha lasciato niente: solo un po' di “Schede per il portfolio” a muffire negli armadi delle scuole e nelle librerie private degli studenti. Certo, non è colpa sua se il governo successivo ha bloccato tutto.

Ma un po' sì. In un regime di alternanza, se t'interessa veramente riformare qualcosa sai di avere bisogno di un consenso trasversale, altrimenti rischi di lavorare cinque anni e non concluder nulla. Viceversa la Moratti si comportò come se fosse stata insediata in un consiglio d'amministrazione senza termini di mandato. Quando capì che un po' di consenso tra gli insegnanti le poteva essere utile, convocò una grande assemblea e la chiamò “Gli Stati Generali della Scuola”. Ogni volta che ci ripenso rischio di non crederci. Gli Stati Generali. Tra tutte i nomi di assemblea di cui si legge nei libri di Storia, il Ministro dell'Istruzione doveva scegliere proprio quella meno democratica; quella dove i rappresentanti del 90% della popolazione contavano meno dei nobili e dei preti; quella che è finita così male (o bene, secondo i punti di vista). Ma insomma, convocare degli Stati Generali nel 2002 era un po' come chiedere agli insegnanti di fare la Rivoluzione.

Gli insegnanti non l'hanno fatta. I più generosi ed energici si sono impelagati in lunghissime discussioni su come avrebbe funzionato il benedetto portfolio; i più furbetti hanno aspettato che il fuoco di circolari si spegnesse da solo. Ci sono cose che appena nate già portano scritto “incompiuto” in copertina: i romanzi di Gadda, le Grandi Riforme della Scuola. Una delle prime volte che alzai la mano in un consiglio di insegnanti fu per invitare tutte alla tranquillità, che non valeva la pena di preoccuparsi troppo: tanto eravamo sotto elezioni, e o le vinceva Prodi (e la riforma andava al macero), o le vinceva di nuovo Berlusconi, ma in quel caso sarebbe passata anche la legge sul federalismo, le competenze in materia scolastica sarebbero finite alla regione Emilia-Romagna, e a macerare la Moratti ci avrebbero pensato a Bologna. Mi accusarono di fare politica; io tacqui per sempre, come conviene al buon supplente, e le lasciai scannarsi sul portfolio per altre ore. Ed è una fortuna, fidatevi, che noi insegnanti non fatturiamo le ore di riunione (noi no: i consulenti della Moratti sì).

Prodi ha vinto e all'Istruzione è arrivato Fioroni, che non solo ha immediatamente cassato la Grande Riforma Moratti, ma ha anche annunciato, udite udite, che non ne avrebbe fatta una: in dieci anni, il primo ministro non riformatore! Molti insegnanti gli vogliono ancora bene semplicemente per questo. Ma forse sapeva anche lui che non sarebbe durato – altri però al suo posto si sarebbero ugualmente avventurati in pericolose modifiche strutturali: lui no, e di questo occorre dargli atto. In ogni caso dopo due anni è tornato il centrodestra. Però, attenzione, qualcosa è cambiato.

Non so se ve ne siate accorti, perché forse è più facile accorgersene a scuola che altrove, ma Berlusconi III è molto diverso da Berl II. Lasciando stare i nomi dei partiti, gli organigrammi, veniamo alle cose che in concreto un governo fa. Fioroni ha sospeso la Grande Riforma, è vero, ma non ha mica distrutto tutte le sue copie in un rogo liberatore; senz'altro da qualche parte al Ministero è possibile consultarla. E quindi il giovane ministro Gelmini, di cui tutti temevano l'inesperienza, in teoria si ritrovava insediata coi compiti già fatti: una Grande Riforma completa e mai usata. Ma si è guardata bene dal riprenderla in mano.

E questo è notevole. Attraverso la Gelmini, Berlusconi III sta sconfessando quasi tutto ciò che la Moratti combinò in cinque anni di istruzione. Le sue proposte forse non saranno sbagliate, ma non sono nemmeno più interessanti. Si riparte da Gentile, ovviamente contro Gentile, e della Moratti non si parla nemmeno più. Come non si parla più di ponti sullo stretto o di modifiche all'articolo 18. Quello era un altro Berlusconi, un altro Tremonti.

Però alla fine una riforma c'è. Non è più la Grande Moratti, sarà la Piccola Maria Stella, ma c'è. Io in effetti è di quella che volevo parlare, ma mi sono un po' perso per strada. Chiedo scusa, sarà per la prossima volta.

venerdì 19 dicembre 2008

Ehi, tu, sulla riva del fiume





In un sistema capitalistico, "Il Manifesto" avrebbe chiuso i battenti molti anni fa.
In un sistema comunista (diciamo socialismo reale con economia di piano) dieci anni fa un funzionario del partito avrebbe offerto alla redazione un viaggio premio in un Campo di Rieducazione Informatica, al fine di rendere il quotidiano più vicino al popolo - che non può più acquistare costosissima carta, lusso borghese, e avvelenarsi le mani col perniciosissimo piombo capitalista - ma che può sempre connettersi alla Rete che mette in comunione universale tutte le conoscenze.
In un sistema parrocchiale, il sacerdoti del Manifesto avrebbero cercato di ipnotizzare i loro lettori, convincendoli che non c'è Verità al di Fuori del Manifesto, e a scucire ogni tanto una questua più cospicua di altre... Ma anche in questo caso, prima o poi avrebbero rischiato la concorrenza di parrocchie più convincenti e meglio organizzate.

giovedì 18 dicembre 2008

Cambiare pizzeria, subito

Aiutateci a chiedervi soldi anche nel 2009
"19 DICEMBRE EDIZIONE SPECIALE
5O euro per un manifesto che non ha prezzo
Questa è una pubblicità comparativa. 50 euro costano due pizze e due birre, ma se li spendete venerdì prossimo per comprare il manifesto che salverà la vita al manifesto vi risparmierete almeno il supplizio del limoncello offerto dalla casa insieme al conto".
Questa è la risposta a una pubblicità comparativa. Diciamo che una pizza costa in media 6 euro, una birra 4, un coperto 3. Fanno 13, che moltiplicato per due fa 26. A volte mi capita anche di pagarne 30, ma se me ne chiedono 50 mi alzo piccato e non torno mai più. Ma so che i lettori del Manifesto si comportano in un modo diverso.

E mi addolora. Li vedo da anni tornare nello stesso cadente locale, convinti che si mangi la meglio pizza della città... il che era forse vero trent'anni fa, ma nel frattempo i pizzaioli sono andati in pensione e la gestione è cambiata varie volte; almeno i prezzi fossero restati convenienti. Ma vuoi mettere la soddisfazione di lamentarsi del limoncello?

mercoledì 17 dicembre 2008

Lo Stato del Paradosso

Mani rosse sugli Abruzzi

Insomma, qui ormai siamo nello Stato del Paradosso. Cerco di spiegarmi.
Stamattina mi sono svegliato con una Realtà molto chiara: Berlusconi ha vinto in Abruzzo. Anche la Spiegazione della realtà appare piuttosto chiara: B. ha vinto perché il PD non riesce a imporsi come alternativa credibile, perché i suoi amministratori non riescono sempre a mostrare quelle mani pulite a cui i loro potenziali elettori tengono tanto; e così molti di loro non vanno a votare, o votano per il piccolo alleato di nicchia che sta diventando sempre più grande, ma che non avrà mai la forza o l'organizzazione per sostituire il PD come partito di massa. Siete d'accordo che le cose stanno così?

Bene, e quel che leggo su tutti i giornali è che... l'Abruzzo sta per cadere in mano ai comunisti! Mani rosse sull'Abruzzo! Ieri Bari, oggi L'Aquila, domani il mondo, ecc. ecc., ma che, scherziamo? Sul serio vogliono darcela a bere in questo modo?
Va bene, la Rifondazione di Vendola ha preso il 15%. Più o meno quello che una volta prendevano i vari i partitini a sinistra dei DS. E certo, un 15% tutto intero nelle mani di un partito solo fa un po' impressione. Ma da qui a trasformare l'Abruzzo nella nuova regione rossa, beh, ce ne vuole.

Prima di sbrodolare lenzuoli su Vendola, il nuovo Obama italiano ecc. ecc., ricordiamoci una cosa: il vero artefice del suo successo è stato Veltroni, che un anno fa ha inspiegabilmente scelto di scaricare tutti gli alleati esterni del PD... tranne Rifondazione. La cattiva gestione del PD nel catastrofico dopo-elezioni ha fatto il resto. Quello che sta semplicemente succedendo è che tutti gli elettori delusi da Veltroni si sono rovesciati sull'unica alternativa di sinistra che trovano ancora credibile perché rappresentata in Parlamento. Anche se il simbolino può sembrare troppo rosso per qualcuno. Scemenze. Il pericolo rosso non terrorizza più nessuno.
Naturalmente Berlusconi ha buon gioco nel rifiutarsi a ogni dialogo con il PD “finché non avrà chiuso coi comunisti di Vendola”. È il solito giochino del divide et impera che ha sempre funzionato. Né Veltroni sembra in grado di sottrarvisi. E allora?

E allora basta chiacchiere, che non servono a niente: il mio piano è questo. Ora prendo la macchina del tempo, risalgo all'anno scorso, e convinco Veltroni a non allearsi coi comunisti. Con chiunque altro ma non con i comunisti. Per esempio, Di Pietro. Ve lo ricordate Di Pietro? Aveva quel partitino lì di sinistra-destra, giustizialista... in Abruzzo poi aveva anche un certo seguito, mi pare. Secondo me funzionerà, vedrete. Ci vediamo quando torno, bye.

lunedì 15 dicembre 2008

E corre corre corre sempre più forte

La coincidenza

Certo che fa un po' impressione, Bologna-Milano in un'ora.
Ma mai come Roma-Modena in tre, se devo essere sincero. Perché sì, è successo: due mesi fa a Modena ho preso un Eurostar – l'ho pagato un po', d'accordo, ma in tre ore ero a Roma. Il tempo di una pennica e di leggersi il giornale, e mezza Italia m'era corsa via, in perfetto orario.
Il treno era pulito, persino il bagno! E davanti a ogni poltrona, su un comodo tavolino, occhieggiava una pratica presa di corrente. Stavo andando verso il Sud dell'Europa, e mi sembrava di essere in Francia. La presa di corrente in Seconda Classe? Sarà un treno nuovissimo, una botta di fortuna. No, macché, al ritorno era uguale. L'ho persino preso al volo, cambiando la prenotazione (perché quando a Roma piove, con tutti quei pini marittimi, mi sembra di essere al mare d'inverno con la voglia di suicidio incorporata): una fila di cinque minuti nella bella stazione Termini, e hop! Sono arrivato a Modena con due ore di anticipo senza pagare un euro in più. A Bologna ho incontrato anche un amico mio, e ci siamo fatti due chiacchiere su quanto siano fichi questi nuovi treni.
“E vabbè, finché uno viaggia Eurostar; ma i locali...”
“I locali nuovi tra Bologna e Milano sono belli. A due piani, con il monitor che ti mostra la prossima fermata, sembra la metropolitana”.
Siamo scesi a Modena e io l'ho accompagnato per un tratto, perché non volevo che vedesse dove stavo andando io. Alla fine lui ha preso un bus e io sono ritornato in stazione. Con fare circospetto ho sceso i gradini del sottopassaggio, diretto al Binario 5.
Il Binario 5 in realtà a Modena è il Binario 4 quando sparisce la pensilina e tutto quel che rimane è un marciapiede. Se piove, ti bagni. Se nevica, geli; ma in quel caso probabilmente nemmeno arriva il treno, quindi perché affaticarsi? Quella sera non pioveva né nevicava, ma un pendolare si era buttato sui binari, sicché il regionale per Verona risultato comunque bloccato a Verona. Se vi chiedete come sia possibile che un treno sia bloccato nel luogo dove dovrebbe arrivare tre ore dopo, ve lo spiego io: tra Modena (la provincia più produttiva dell'Emilia Romagna) e Verona (la seconda provincia del Triveneto) sono stesi soltanto due binari, e quindi può circolare un treno alla volta. È chiaro? Se il treno che parte da Verona è fermo, quello di Modena non può partire.
Comunque in capo a un quarto d'ora si è sbloccato, e il modernissimo altoparlante ha avvertito con voce metallica standard che i pendolari erano attesi al binario 5. E così, grufolando appena un po', ci siamo incolonnati verso la nostra greppia.
Lì abbiamo atteso pazientemente che i mandriani scaricassero il bestiame proveniente dal Veneto, e poi siamo saliti. Dentro c'era tutto quello che ci serviva: la biada, la tinozza, e una canalina in mezzo al vagone per l'urina. L'odore non era né meglio né peggio del solito: tanto io scendo quasi subito, giusto il tempo di spulciarmi col pendolare dirimpettaio.
“Certo che ai tempi della Wehrmacht c'era più pulizia... ho sentito dire che sui carichi spruzzavano il disinfettante”.
“Eh, vabbè, non si può avere tutto”.

(Dalla scorsa settimana il viaggio in treno da Milano a Bologna dura un'ora. Quello da Modena a Verona continua a durare più di due, se accetti di essere trattato come un capo di bestiame).

venerdì 12 dicembre 2008

Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra

Choupon, c'était moi

Ma sarà mai stato veramente di destra, Gérard Lauzier?
La domanda, appena messa nero su bianco, rivela la sua profonda stupidità. La destra e la sinistra sono concetti arbitrari, che ci dovrebbero servire a orientarci nella realtà; quando diventano più importanti della realtà che descrivono, è meglio buttarli via. Quindi: chi se ne frega se era di destra, Gérard Lauzier? Era bravo. Di solito il discorso finisce qui.
Io però ci credo fino a un certo punto. Per me l'ideologia non è una cosa che si possa mettere tra parentesi. L'abbiamo tutti, esattamente come il fegato e i polmoni. È il nostro modo di vedere il mondo. Per questo io, con tutta la mia più buona volontà, e coi dieci anni di vita che ho dedicato a studiare autori fascisti, mi dichiaro assolutamente incapace di apprezzare davvero una qualsiasi “cultura di destra”. Non perché essa non possa esistere – anzi esiste, e magari m'interessa e la studio, ma non posso apprezzarla, per formazione e per scelta. Invece Lauzier mi è proprio piaciuto tanto.

Alla base di tutto c'è un equivoco. Dalla seconda metà degli anni Settanta Lauzier si è creato la sua aura destrorsa prendendosi gioco dei tic dei sessantottini francesi che avevano messo su la pancia, famiglia e conto in banca – tutto un nuovo conformismo che oggi potrà sembrare banale, ma lui c'è arrivato per primo. Se è per questo però Lauzier era perfido anche con gollisti e chiracchiani: i suoi ex legionari vanno dallo psicanalista lacaniano e scoppiano in lacrime: sul serio possiamo definirlo di destra perché umiliava les bobos? Con lo stesso criterio potremmo considerare di destra anche il primo Moretti, per citare un autore che aveva (molto parzialmente) in comune gli stessi obiettivi: e notate che per trovarne uno vagamente simile dobbiamo aspettare la generazione successiva.

Comunque fin qui è davvero solo un equivoco. Un conformismo è un conformismo; se nasce a sinistra, significa che quella sinistra è una falsa sinistra, e criticarla è un vero atteggiamento di sinistra. Quindi i bobos sono di destra e Lauzier è di sinistra, voilà. Che bel gioco delle tre carte che ho fatto. Eppure sono convinto che, sforzandomi un po', riuscirei a scrivere qualcosa di più intelligente.
Intervistato, liquidava l'argomento definendo la sinistra il suo “Amour déçu”. Sì, lo sappiamo, siamo stati tutti rivoluzionari a vent'anni, ecc. ecc. Ma riflettendoci bene, Lauzier è davvero un autore di destra. Di una destra scettica, arida, in fondo disperata, che è l'approdo degli ex ottimisti che esplorando il mondo lo hanno scoperto tanto simile alla jungla primordiale. Quella destra che più che un'ideologia è una rassegnazione, alla quale approdiamo tutti, insomma: resta solo da stabilire quando e come (io mi do ancora quattro, cinque anni massimo).
Lauzier era di quella destra che non crede al progresso perché il progresso non è credibile, e sapeva vedere sotto i nostri abiti firmati o trasandati lo scimmione (o il cagnolotto, come nel caso di Choupon), il maschio-alfa e il perdente nato. E chi nasce imbecille, è sottointeso, potrà avere tutte le prese di coscienza che vuole (memorabili quelle del Portrait d'artiste e della Corsa del topo), ma morirà imbecille. Ma non mi convince nemmeno questo.


Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato Lukács - Ehi, questa che è una domanda stupida. Adesso prendo la macchina del tempo e vado a trovare l'anziano ex ministro che dopo l'invasione sovietica e l'autocritica si è buttato sui romanzoni dell'Ottocento. Ciao, György, come va? ti ho portato dei fumetti.
“Non è roba da bambini?”

“Tutt'altro! Può sembrarti un disegnatore di pupazzetti, ma è un grandissimo artista. Guarda le facce, guarda quante espressioni. Con tre tratti di china riusciva a rendere centinaia di espressioni, mantenendo uno stile chiaro ed elementare. Trovo tutto questo molto progressista e democratico”.
“Mbah. Però devo dire che questo disegnatore di pupazzetti riesce a penetrare le leggi che governano la Realtà e scoprire le relazioni profonde, nascoste, mediate e non immediatamente percepibili che costituiscono la società”.
“György, per favore, io faccio le medie... dimmi soltando: destra o sinistra”.
“È così importante?”
“Certo che è importante, tu sei György Lukács, se tu dici che è di sinistra per me è di sinistra, fine questione”.
“Sta rischiando qualcosa nel tuo futuro? Stalin lo ha mandato al confino?”
“No. Invecchiando si è dato al cinema, storielle a lieto fine per benpensanti”.
“Ah, peccato”.
“Era come se volesse lasciare ai bambini qualcosa di dolce, dopo tanto acido".
“Comprensibile, ma è un peccato lo stesso. Aveva qualcosa di balzacchiano, mi sembra”.
“Vero? È per questo che sono venuto da te”.
“Ma lo leggono ancora Balzac, nel futuro?”
“C'è poco tempo. Leggiamo i fumetti”.
“Mbah”.

mercoledì 10 dicembre 2008

Professione reporter

Si avvicinano le vacanze di Natale e la famiglie italiana media è inquieta: dove si va? I risparmi non sono proprio tantissimi: seccherebbe investirli tutti in biglietti andata ritorno per il prossimo obiettivo terroristico.

Il problema è che i terroristi diventano ogni anno più imprevedibili. Per dire, un anno fa l'India chi se la filava? E se avessero detto “rivolte in Grecia”, ci avreste creduto? Inutile dar retta ai tour operator, quelli sono tutti alla canna del gas e dispostissimi a spergiurare sulla sicurezza della Thailandia o a consigliarti un'oasi di pace e tranquillità nel centro della Repubblica Democratica del Congo.
Per fortuna che ci sono i blog, come ad esempio questo. La redazione di Leonardo ha deciso di non differire oltre il suo regalo di Natale ai lettori e di renderli partecipi del Sistema di Rivelazione RiotCon.

Il Sistema di Rivelazione RiotCon è un sistema empirico di valutazione del grado di pericolo di una località geografica, basato sull'identificazione dell'inviato Tg1 che ha frequentato la località per ultimo. Il RiotCon si ispira ovviamente ai DefCon delle forze armate USA (perché siamo cresciuti a DayAfter e WarGames, noi), e si articola in tre livelli principali.

1. Livello Scaccia


Concreto rischio di incorrere in scontri a fuoco, esplosioni, incendi, sequestri di ostaggi, pestilenze, invasioni di cavallette, piogge di batraci. Prima di partire rammentate di lasciare un'impronta delle vostre arcate dentarie ai parenti prossimi; in caso di scontri diplomatici la Farnesina si riserva comunque la possibilità di negare la vostra stessa esistenza. Insomma, se viaggiate in famiglia è un po' sconsigliato. 

2. Livello Maggioni

Ma sì, una sparatoria una tantum è possibile, così come un uragano di media intensità, del resto si vive una volta sola.

3. Livello Mignanelli

Alla Sagra dello Zampone potrebbero essere finite le lenticchie.

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Grazie al delirante telegiornaliste per le ultime due foto.

martedì 9 dicembre 2008

Ma io non c'è metodo

Tema: descrivi la tua famiglia
Nel mia famiglia ci sono: la mia mamma, il mio papà, la mia sorella e io.
Mia mamma lavora in uno lotano negozio, ogni mese viene a casa guarda io, mia mamma sebbene un po' violenza, ma qualche volta verso io e benissimo, mia mamma è una benevola madre. 
Il mio padre è molto magro, indossare un occhiali, lui ogni giorno di mattina è telefona io dice: devi vesti bene. Mio Padre è molto interessarsi io, se io dove fa male, lui è subito bollire natrimento da me. 
Sebbene qualche volta lui
Da mia sorella nascere, io molto felice perché io dopo c'è una compagna, ma mia mamma detta dopo 3 o 4 mese mia sorella deve andare a Cina con mia zia, perché loro devono lavorano, non c'e tempo guidare lei. Io essere molto attaccati a lei. Ma io non c'è metodo.
In seguito, mia mamma porta a mia sorella andare a Cina, nonno e nonna è molto felice, dice io e mia sorella è molto rittrato, io ogni settimana fa telefona mia nonna, mia sorella mi chiama Sorella, sorella....., qualche volta io nel computer guarda foto di mia sorella, lei è molto grasso, coscia come piedi di maiale, è molto carina.
Io, mi chiamo ***, addesso in prima media, io italiano non è molto bene, io non molto piace Italia, perché è troppo noia, ***** è una città piccola, non c'è cosa da gioco, io ogni giorno in casa gioca computer, addesso occhi è un po' miopa.
Ma ogni Italiano sono gentile.


Questo tema non è stato scritto da una ragazza seduta in un angolo china sul dizionario bilingue per due ore incluso intervallo: è il puro frutto della mia fantasia.

domenica 7 dicembre 2008

Il bambolotto che dice No No No

Se Bruxelles non vale una Messa

C'è un gruppo di parlamentari del PD (di area cattolica, ma non tutti i cattolici sono così) che non può, non vuole assolutamente confluire nel Partito Socialista Europeo. Neanche se il Partito Socialista Europeo cambiasse il nome apposta per loro e diventasse, che so, Partito Socialista Europeo e degli Amici della Madonna di Loreto. Loro semplicemente non possono. La loro coscienza glielo impedisce, e io li capisco.

Sì, ho detto che li capisco.
Con tutto quello che è successo negli ultimi trent'anni, uno che nasce democristiano può avere una comprensibile vergogna di morire socialista – non siamo mica tutti salmoni, con l'istinto a risalire la corrente.

Quello che non capisco, è che mandino a parlare Francesco Rutelli. L'uomo che le correnti le ha seguite, le ha risalite, a volte è riuscito a tenere una sola pinna in due correnti che andavano una di qua, l'altra di là. Uno che è nato radicale e adesso prende il tè con la Binetti, scusate, ma con che faccia può andare davanti alla telecamera e dire “Nel PSE no”? Sei stato Radicale, Antiproibizionista, Verde Arcobaleno, Sindaco Tuttocittà, Democratico, Popolare, e adesso cos'è, hai paura di una rosa?

Non c'è niente di male ad avere una coscienza, basta non metterci sopra la faccia di Rutelli. Uno che, fra l'altro, ha perso tutte le elezioni che era umanamente possibile perdere, e la cui persistenza in Parlamento ha più a che vedere coi difetti del nostro sistema elettorale che con la presenza, in Italia, anche solo di una manciata di cittadini che lo trovi ancora simpatico. Ed è un peccato che la vostra coscienza – così pronta a scattare al primo timido accenno di socialismo, non sia sensibile a questo. Cioè, un peccato, dipende. È semplicemente peggio per voi.

venerdì 5 dicembre 2008

Mi è sembrato di vedere un Sepolcro

Il Ponte sul fiume Ipocrisia

Quando il mese scorso scoppiò la polemica sulla proposta della Lega di istituire classi ponte (classi differenziali per stranieri analfabeti), il PD prese una posizione chiara: siamo contro. Io non ci riuscii.
Non riuscivo a capire (e faccio tuttora un po' fatica) quel che succede nella scuola dell'obbligo. Entri in una classe e ti trovi davanti dieci facce di colore diverso, e l'appello suona come la lista dei nomi dell'equipaggio di Star Trek. È bello, ma anche molto caotico. Poi entri nella classe di fianco e sono tutti bianchi. Tutti. Non c'è un giorno che io non mi stupisca di questa cosa.
E alcuni giorni mi arrabbio anche. Che senso ha tuonare contro le classi ponte, quando le si lascia esistere nella realtà? Ma proprio quando ne stavo scrivendo con più foga, mi capitò di ascoltare le parole assennate di Maria Pia Garavaglia, Ministro Ombra dell'Istruzione del PD, che mi spiegò i miei errori, con la franca chiarezza dei puri di cuore.
Se si separano i bambini di diversa estrazione rispetto ai nostri, i nostri bambini cresceranno credendo che cio' che e' diverso vada separato. Il dato pedagogico e' che non si puo' iniziare da piccoli a fare apartheid. In termini educativi, poi, i bambini imparano in fretta la lingua attraverso la mimica, attraverso le frequentazioni, e con cio' diventa subito lingua madre; se invece la apprendono in classi diverse la considerano una seconda lingua.

In quel momento vidi la luce, e capii che mi sbagliavo: separare i bambini di diversa estrazione è diseducativo. Bisogna sempre tenere unito ciò che rischia di dividersi, e poi i bambini imparano in fretta, no? Attraverso la mimica. Per dire, devi insegnar loro l'Infinito di Leopardi? Ti basta mimarlo e il gioco è fatto.
Da quel momento divenni un fan segreto di Maria Pia Garavaglia; non osavo confessarlo perché so che razza di lettori mi trovo, ma la sera nel mio lettino fantasticavo di me e di lei nottetempo intenti a bruciare le scuole che fanno concretamente apartheid, separando i bambini bianchi dai bambini scuri. Queste scuole esistono in tutte le città: si chiamano scuole cattoliche. Prendono persino soldi dallo Stato, in palese violazione della Costituzione(*), anche se con queste vacche magre Tremonti stava cominciando a riavvitare il rubinetto.

Oggi però la CEI ha fatto la voce grossa, pure il Papa ha detto qualcosa, e Tremonti si è rimangiato tutto (che è poi la cosa che meglio gli riesce). Tutto abbondantemente previsto, ma c'è un dettaglio che m'ha spezzato il cuore.

Quando ogni cosa sembrava tornata al suo posto, e le scuole cattoliche coi bambini bianchi hanno riottenuto i loro fondi grazie ai quali tutti i bambini scuri non cattolici si concentreranno nelle altre scuole-ghetto (coi fondi tagliati), finalmente Maria Pia Garavaglia ha parlato.
Ma non ha parlato di apartheid stavolta, no.

Ha chiesto ancora più soldi per la scuola dei bianchi.

(*) Art. 33: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato".

mercoledì 3 dicembre 2008

Slightly Out Of Focus

Io non credo che un blog sia il luogo adatto per un dibattito sul PD. Non il mio, almeno. Il mio è più piccolo e semplice, e i dibattiti grandi e complessi non riuscirebbe a contenerli. Al limite lo posso caricare con uno slogan forte e chiaro, e lo slogan dell'autunno '08 è il seguente: piantiamola di dire che non esiste un'alternativa a Veltroni, perché è solo la classica profezia che si autoavvera. L'alternativa ci sarà quando tutti cominceremo a ritenerla inevitabile. Questo blog la ritiene inevitabile, e continuerà a trattare Veltroni come uno che se ne deve andare il prima possibile. Il mio piccolo contributo è tutto qui.

Detto questo, faccio il possibile per non trasformarmi nella parodia di me stesso. Per esempio, mai due pezzi antiveltroni di fila. Certo, sarebbe più facile se Veltroni mi desse una mano, evitando di scadere lui per primo nella parodia di sé stesso.

In realtà facciamo tutti e due quel che possiamo. Un esempio è il caso Sky. Il blog antiveltroniano duro-e-puro avrebbe chiuso la questione già l'altro ieri: con tutti i problemi che abbiamo, che razza di leader è uno che s'impunta su un aumento che la stessa Sky prevede di un euro e venti centesimi a famiglia?
Non ci sono proprio altri argomenti? Altroché se ce ne sono: la cancellazione degli eco-incentivi, ad esempio, come hanno fatto presente parecchi blog (e allora alla fine vedi che a qualcosa servono). I cittadini che lo Stato aveva convinto a investire in tecnologie ecosostenibili hanno rischiato di trovarsi si troveranno migliaia di euro sul groppone. E perché invece di parlare di questo (e compattare ecologisti e semplici persone ragionevoli) il segretario del PD s'impunta su Sky?

Forse perché davvero, la questione Sky sembra perfidamente ritagliata su misura per Walter, anzi, per Wally, e per la sua idea di cittadino come spettatore. Levagli pure gli ecoincentivi, le ore di malattia, gli asili e gli aeroporti, ma non interrompergli un'emozione! Al punto che cominci a sospettare un'intelligenza là dove mai più te la saresti aspettata: in Tremonti e Berlusconi, che perfidamente, tra tutte le aliquote, scelgono proprio quella che attirerà il frescone nella trappola. Giusto per poi dire, vedete: noi distribuiamo tessere alimentari alla povera gente, e lui si lamenta perché gli tolgono il film coi sottotitoli...

Ecco, vedete? Dei pezzi così si scrivono da soli. E piacciono, si fanno leggere, si fanno lincare. E lasciano il tempo che trovano.

Anche perché, siamo onesti: fino a che punto Veltroni si è impuntato sul caso Sky? Lui ha fatto una dichiarazione, stop. Se l'andiamo a rileggere, non ci troviamo nemmeno tutta questa foga: ha fatto presente che c'è un conflitto di interessi (e il conflitto c'è) e che l'aliquota inciderà sulle famiglie (vero; meno di ordinare una pizza, ma è vero). Era un breve intervento nel mezzo di un'intervista estemporanea, dove magari aveva toccato tantissimi altri temi interessanti, chi lo sa. Fatto sta che il resto dell'intervista è caduta nel dimenticatoio, mentre le tre parole su Sky da un paio di giorni stanno rimbalzando nei media. Anche oggi Repubblica ci ha fatto la prima pagina, e dire che siamo in emergenza terrorismo. È Veltroni che ha deciso di parlare solo di Sky, o sono i media?

Per me è la seconda. Se la questione Sky ha forato il video è soprattutto grazie all'autoreferenzialità dei media, che parlano più volentieri di sé stessi che degli ecocentivi. E se uno cerca la dichiarazione di Veltroni sugli ecoincentivi, la trova: un po' in ritardo (è di oggi pomeriggio), ma ieri ce n'era una simile di un altro esponente PD. Però queste dichiarazioni non hanno forato.

Non è la prima volta che si assiste al fenomeno: anche quando ha le idee giuste nel momento giusto, Veltroni resta vittima dell'impaginazione. Le cose che più gli premono non sono necessariamente quelle che le redazioni metteranno in risalto. Senz'altro pesa il fatto che metà di queste redazioni siano controllate da Berlusconi o consociati. Ma è proprio in una situazione del genere che un leader deve dimostrare di essere Più-Che-Bravo, e Veltroni semplicemente non lo è.

Si dice: smettiamola di parlare di nomi, parliamo di idee. Ma non sono necessariamente le idee il problema. Io continuo a pensare che ci sia anche un problema di comunicazione. Nel momento in cui ogni giornalista che ti mette il microfono davanti è in grado d'importi le sue priorità, un leader dovrebbe reagire, riuscire a imporsi, e Veltroni non lo fa. Nella fattispecie, avrebbe dovuto avere la prontezza di spirito per avvertire, già lunedì, che la questione Sky era penosa ma secondaria e che quelle importanti erano altre. È quello che chiediamo a lui: parare ogni affondo insidioso, murare le schiacciate. È una missione quasi impossibile, ma noi avevamo scelto lui appunto perché credevamo che fosse il più bravo.

Rivedendolo adesso con calma, ci rendiamo conto che tanto bravo non è. Magari ci vengono in mente altri che nella stessa emergenza si sarebbero comportati meglio: benissimo, cominciamo a ragionare sulla necessità di cambiarlo. Forse non è proprio il momento più adatto per farlo, ma è senz'altro il momento migliore per cominciare a parlarne: in futuro avremo ancora più fretta e più pressione.

martedì 2 dicembre 2008

Opera di misericordia 7bis

Chiose apocrife a Matteo 25

A sentire il primo evangelista, quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, pare che gli toccherà effettivamente separarci gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri: e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
A quelli che stanno alla sua destra dirà: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi".
I giusti si guarderanno l'un l'altro un po' sbigottiti e gli risponderanno: "Signore, con rispetto, ma quando mai? Quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere, forestiero e ti abbiamo ospitato, ecc. ecc.? E quando soprattutto ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?"
Il re dirà loro: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". E loro: Aaaah, ecco qual era il trucco. Beh, meno male.

Fin qui tutto liscio; poi verrà il turno di quelli alla sinistra.
A loro il re dirà: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato".
Ovviamente anche loro risponderanno sbigottiti: "Signore, quando mai? Non ti abbiamo mai visto affamato, o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere, altrimenti ti avremmo allestito al più presto un sontuoso comitato di ricevimento".
Ma egli risponderà: "Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l`avete fatto a me".
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.

A quel punto, nell'enorme pascolo del giudizio resterà giusto qualche insigne prelato, con l'aria piuttosto contrariata.
Il re dirà: "Ancora qui? Non avete capito dov'è che dovete andare?"
E loro: "Signore, perdonaci, ma qui c'è qualcosa che non ci torna. Noi siamo gente di chiesa, Matteo 25 lo sapevamo a memoria. Senz'altro non siamo stati perfetti, ma molti affamati li abbiamo saziati"
"Questo è vero", dirà il re, scarabocchiando sulla sabbia.
"Per non parlare dei forestieri che abbiamo ospitato".
"In effetti".
"E dei carcerati che abbiamo visitato".
"In Guyana però non ci sei venuto, cardinale".
"Eh?"
"E' stato qualche millennio fa, ai tuoi tempi. Un fratello più piccolo di me era recluso in Guyana a causa di un certo vizietto, e non lo sei andato a trovare".
"Signore, mica potevo essere dappertutto..."
"Certo che no. Eri troppo impegnato negli stessi giorni a rifiutare per conto del Vaticano la proposta di depenalizzazione universale dell'omosessualità".
"Signore, però, con tutto il rispetto..."
"Sì?"
"Potevi dircelo prima, che avevi anche dei fratelli gay".
"Mi sembrava implicito".
"No, Signore, no! Non era affatto implicito".
"Avrebbe cambiato qualcosa? Vi sareste fatti musulmani? Troppo tardi, in ogni caso", sbufferà il re: e a un suo cenno gli angeli accompagneranno gli insigni prelati all'uscita di sinistra, dove già li attendono i loro colleghi attivissimi e non passivissimi.

(Vedi, fra gli altri, Malvino)

Il Cielo del vicino è sempre più verde

Io capisco il conflitto d'interessi, che è enorme, come sempre; 
ma l'Italia che la settimana scorsa aveva bisogno di 40 miliardi di euro, subito, per mettere in sicurezza le scuole... è la stessa che oggi protesta come un sol uomo perché da gennaio pagherà un euro e mezzo in più per vedere le partite?

Altri pezzi