Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

giovedì 30 aprile 2015

Non potresti picchiarci più piano, Matteo Renzi?

Non solo Renzi non è Mussolini, ma si fatica a immaginare tra i suoi oppositori un Matteotti, un Gramsci. In particolare tra gli interni al Pd, che dopo aver adombrato derive totalitarie si sono accontentati di uscir dall’aula: dietro magari c’è un raffinato ragionamento tattico precongressuale che appassionerà gli addetti. Da qui Bersani e soci sono solo sembrati patetici; spiace a me per primo.

Si poteva far di peggio? 50 deputati della minoranza hanno votato sì, ma cogliendo un’occasione per un rimbrotto a Renzi: chissà quanto c’è rimasto male. Non è questo “il modo di relazionarci”, ha spiegato Mauri; è stato “un grave errore aver continuamente esasperato i toni”! Lo ha detto accingendosi a ingoiare l’Italicum. “Così si è solo dimostrato una volta in più che le prove muscolari non portano lontano”. Senza dubbio Renzi non li mostrerà più i muscoli, ora che ha visto con quanta velocità vi inginocchiate.

Non è Mussolini, no, e a voi non sarebbe riuscito nemmeno un Aventino. Piagnucolare che non si fa così, non si esasperano i toni, mentre ci si prostra a terra con tanto senso di responsabilità e la speranza che si ricordino di voi stilando i prossimi listini elettorali. Non si capisce però perché in quell’occasione Renzi dovrebbe preferirvi a qualche ragazzo/a di bell’aspetto, in grado di pigiare gli stessi pulsanti con meno melodramma e più fotogenico entusiasmo. Sul serio, credete di essere più utili alla democrazia? Ieri non s’è visto; oggi è tardi.

mercoledì 29 aprile 2015

E fascista qua e fascista là

Questa cosa dei paragoni col fascismo magari ci sta un po’ sfuggendo di mano, come accade spesso verso la fine di aprile. Renzi è uno sbruffone, ma non è Mussolini. Vuole comandare per 5 anni senza darsi pena di ottenere la maggioranza dei suffragi, ma l’Italicum non è la legge Acerbo...

…E stavo quasi per buttar giù 1500 caratteri sul tema, quando ho sentito il ministro dell’istruzione definire “squadristi” gli insegnanti che, non apprezzando una riforma pasticciata che trasferisce tutti i poteri delle scuole a una specie di preside-prefetto, osavano contestare il suo comizio. La Giannini, che ha idee vaghe su chi siano questi dirigenti scolastici che tra pochi mesi dovrebbero governare la scuola, forse è parimenti inconsapevole del fatto che gli squadristi, di solito, non interrompevano i discorsi dei ministri, ma le manifestazioni dei lavoratori: e non facendo un po’ di chiasso, ma con bastoni e armi da fuoco.


Conviene rassegnarsi: dal ‘45 in poi l’accusa di fascismo è un’iperbole a cui attingiamo tutti troppo spesso, per comodità e scarsa fantasia. In fondo è meglio così che se ce lo fossimo dimenticato. Invece, a furia di lanciarcelo addosso, siamo costretti a ripassarlo. Ne possiamo ottenere addirittura parametri oggettivi: ad esempio, Mussolini pretese un premio di maggioranza al 25%, Renzi si accontenta del 40. Non solo possiamo dire che non è fascista, ma abbiamo anche una cifra precisa: non lo è per un 15%. È tanto, è poco? Io non mi accontenterei.

Come odiavamo (lettera dal 2009)

Quando ho letto della nuova tirata di Aldo Grasso sul "popolo del web" ho avuto, ovviamente, un déja vu. Ero sicuro di avere già scritto da qualche parte la risposta - del resto al Corriere scrivono le stesse cose da vent'anni - ma dove? Ci ho messo un po' a recuperarla: era il primo pezzo che scrissi sull'Unità.it, nel lontanissimo 2009: e già allora la discussione sembrava vecchia. Non rispondevo a Grasso ma a Stella che scriveva esattamente le stesse cose; è come se si passassero i canovacci. Io invece credo di essere cambiato un po'. Era l'unico pezzo che non avevo ripubblicato qua sopra, lo faccio adesso per scongiurare l'orribile eventualità che vada perso (il server dell'Unità potrebbe azzerarsi da un momento all'altro). È anche una manovra per placare l'ansia dei nostalgici dei pezzi lunghi - se provate a leggere questo magari un po' vi passa, la nostalgia.

Stella che brilli lassù


Ho una teoria. Quando a un giornalista capita di scrivere il solito pezzo demonizza-internet (un genere relativamente giovane, ma già irrigidito nella statuaria dei luoghi comuni senza età, come gli elzeviri sulle mezze stagioni o sugli esodi d'agosto) la prima reazione di chi su internet ci scrive davvero, e magari da anni si sbatte per difendere e diffondere contenuti di qualità, è più o meno: Nonno Non Hai Capito Niente. Probabilmente parli per sentito dire e non sai distinguere un profilo facebook da un blog, avrai una connessione modem a 56k con il fischiettino (vi ricordate il fischiettino?) oppure la stagista schiavetta che ti scansiona i comunicati battuti in Olivetti Lettera22.

Tante volte devo aver reagito così anch'io, qualche anno fa, ma appunto: era qualche anno fa. Adesso siamo nel 2009 e davvero anche il nonno ha capito come si accende il computer. Parlare di Internet per sentito dire non solo non è più ammissibile, ma è davvero impossibile. Eppure le cose che ha scritto Gian Antonio Stella sono un po' le solite: “zona franca dove divampa una guerra che quotidianamente si fa più aspra, volgare, violenta” (Montecitorio? No, Internet) “individui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idiomi utilizzati, parlano tutti [...] il linguaggio della violenza, della sopraffazione, dell’annientamento” (Curva di stadio? Set del Grande Fratello? Nooo, Internet). A gente come me, come probabilmente anche voi, che frequenta internet ogni giorno e ci trova lampi d'intelligenza, di fantasia e di creatività che nessun altro media gli offre, può sembrare strano e triste che Gian Antonio Stella si trovi in casa la stessa finestra sul mondo e non ci trovi nient'altro che volgarità, violenza, odio, anzi, “libertà di odio”. Eppure è così: come si spiega?

Io una teoria ce l'ho, dicevo: dipende tutto da dove è piazzata la finestra. Gian Antonio Stella guarda internet come tutti noi, ma da una posizione infelice: quella di giornalista. Rifletteteci bene. Voi praticoni di internet avete i vostri riferimenti, i vostri feed, le persone simpatiche ed esperte di questo o quel settore che avete selezionato in anni di frequentazioni, ed è questo a rendere la vostra finestra così colorata e interessante. Stella ha avuto meno tempo di voi, e i frequentatori di internet forse li conosce soprattutto sotto forma di commentatori medi del sito del Corriere. Ma i commentatori medi al Corriere (o alla Repubblica), beh... è il caso di dire no comment. Davvero, cosa pensereste di Internet e di chi lo frequenta, se le uniche prove della loro esistenza fossero le tracce di bava che lasciano sui siti dei grandi quotidiani, e su qualche gruppo di facebook?

Internet è piena di melma, inutile negarlo (nessuno infatti ci ha provato). Però in mezzo alla melma ci sono cose straordinarie che valgono tutta la bolletta, e persone che sostengono, come me, che è inutile criticare la melma: l'unico sistema per migliorare la qualità è creare piccole oasi di cose intelligenti e interessanti, in zone non troppo remote da quelle dove passa il grande traffico. I blog che leggo quotidianamente sono una realizzazione imperfetta di questa idea di oasi: mi riassumo i fatti importanti del giorno in modo esauriente e divertente, mi raccontano notizie singolari e importanti che da solo non avrei trovato mai, a volte mi fanno arrabbiare, ma sempre per un'idea diversa dalla mia, non per uno schizzo d'odio. Però ci ho messo anni a selezionarli, e ho dovuto vincere il fascino per la melma, per i deliri dei dementi, che soprattutto all'inizio mi soggiogavano e mi facevano perdere tempo prezioso (tuttora, a portata di clic, c'è la perdizione). Insomma, ci ho messo anni per rendere davvero efficiente e interessante quella che una volta si chiamava “navigazione” su Internet. E questo smentisce il luogo comune che Internet sia facile come schiacciare un bottone: no, se schiacci un bottone per prima cosa escono quintali di melma che ti schizza dappertutto. Il setaccio di contenuti interessanti è una pratica difficile che si acquisisce con gli anni, è più complesso che imparare a guidare. Basta vedere cosa combinano gli adolescenti in rete: in teoria dovrebbero capire tutto alla svelta, in pratica finiscono subito impantanati in luoghi assurdi, e ci impiegano anni a trovarsi una posizione rispettabile, a costruirsi un profilo decente.

Con gli anni s'impara a tenersi lontani da certi luoghi come i commenti su youtube, i gruppi su Facebook... o i commenti di Repubblica.it, o del Corriere. Ma non è paradossale che la melma su Internet tenda ad addensarsi proprio intorno a siti informativi professionali? Immaginatevi il Corriere on line come un grattacielo in mezzo a una discarica: ecco, Gian Antonio Stella vede gli internauti da una finestra di quel grattacielo, e cosa volete che veda? Mostri subumani che inneggiano al ferimento di premier mediante souvenir, negatori di olocausti, odiatori di “negri”, insomma, brutta gente. Come spiegargli che quelli non sono tutti gli internauti... ma solo quelli che più spesso circolano intorno al Corriere? E perché proprio intorno al tuo giornale, è colpa della linea editoriale? No, assolutamente. È solo una questione di dimensioni: il grattacielo è un punto di riferimento nazionale, attira la massa, e in mezzo alla massa la suburra, i cospiratori, i mitomani.

Per contro in un piccolo sito come il mio, mantenere un discreto livello di discussione è relativamente semplice. Molto di rado negli ultimi anni mi è capitato di dover mettere i mattoidi alla porta. Merito mio? No, assolutamente, anche in questo caso è una questione di dimensioni. I mattoidi accorrono naturalmente verso i centri di traffico, sono attirati dalle celebrità. Non sono massa, ma si disseminano sempre nella massa. Nei piccoli blog che negli anni abbiamo selezionato con cura, i mattoidi non vengono: al limite passano di sbaglio se gli capita di scambiarci per qualcuno più importante di noi. Ma appena hanno capito che noi siamo pesci piccoli, ci lasciano nella nostra nicchia e se ne tornano in piazza a vandalizzare gli editoriali delle Grandi Firme coi loro commenti.

Così senza volere siamo riusciti a parlare del povero Tartaglia, che nemmeno aveva un profilo Facebook. Peccato, ci si sarebbe trovato bene. E forse iscrivendosi a qualche gruppo idiota gli sarebbe passata la voglia di realizzare le sue idiozie nel mondo vero. Perché Internet è anche questo: una valvola di sfogo per colletti bianchi che giocano a fare gli odiatori di negri, i negatori di olocausti, gli inneggiatori a Tartaglia. Sì, non è molto coraggioso da parte loro. Ma ognuno dovrebbe essere libero di gestirsi la sua melma come vuole, finché non schizza gli altri.

martedì 28 aprile 2015

Mussolini era una zecca

Al ragazzino che oggi prova a rimpiangerlo direi: ma lo sai chi era davvero Benito Mussolini, morto oggi 70 anni fa?

Perché se hai fatto i compiti a questo punto dovresti saperlo. Una zecca. Nei vari e non simpatici sensi del termine. Socialista, per esempio; e figlio di socialisti. Porta il nome di un rivoluzionario messicano. Da giovane scappò in Svizzera per non fare il militare. Ateo e mangiapreti, e quando in Libia c’era da difendere il sacro nome della patria, lui andò a mettersi sui binari per non far passare i treni.

Poi, certo, ha cambiato idee. Quando scoppiò la Grande Guerra cominciò a parlare di Patria e Valori. Ma prendeva ancora i soldi dai socialisti francesi, che speravano di portare dalla loro gli italiani. Poi dagli industriali che annusavano l’affare. Cominciava a metter pancia. Succhiando un po’ qui, un po’ là, mandando avanti bravi reduci e ragazzini in camicia nera, eccolo a Roma. Da lì in poi, naturalmente, tutto Dio Patria e Famiglia: anche nel senso che succhiò da tutte e tre. Il primo s’accontentò di un quartierino sul Tevere, la seconda tra Etiopia e leggi razziali si ritrovò il nome infangato per sempre. Alla terza prese pure le fedi nuziali.

Non ci credi? Giusto. Non fidarti di nessuno: studia. A De Felice puoi dar retta? Rimpiangilo pure se vuoi, ma ricordati da dove veniva. Era un maestro di scuola, pensa: e socialista. Vi ha succhiato per vent’anni e vi ha lasciato gusci vuoti. Dimmi che lo rivorresti indietro, dimmi che ne vorresti un altro.

lunedì 27 aprile 2015

Il giorno a cui direte a Renzi: No.

Certe occasioni capitano una volta sola. Renzi, per esempio, in maggio ha una chance per blindare la legge elettorale e costringerci a votare per lui nel ‘16, nel ‘21 e a seguire. È comprensibile che abbia più fretta di chiudere che voglia di lasciare al Paese un sistema elettorale decente. Gli avversari, fuori e dentro il partito, sono ancora divisi e disorientati; la ripresa, se c’è, troppo debole per reggere una crisi politica: insomma, adesso o mai più. Si va verso la fiducia, e se a Mattarella non piace, pazienza. In fondo anche Mattarella deve tutto al suo grande elettore, e una volta risolta la questione, i suoi pareri non avranno più molta importanza.

È comprensibile che gli esponenti della minoranza Pd non vogliano arrivare a una scissione. Hanno sempre scelto la posizione più ragionevole e responsabile - anche quando era quella che li portava al disastro elettorale. Non sorprende che continuino così, ma prima o poi dovranno prendere atto che sono fuori dal partito. È Renzi che li ha messi ai margini, senza pubblicità ma con determinazione, e adesso si tratta soltanto di scegliere il modo e il tempo per prendere la porta. Ovviamente a nessuno piace trovarsi nel ruolo del guastafeste che riprecipita l’Italia nel baratro della crisi eccetera eccetera. Ma l’Italicum è proprio brutto, e il governo, che cerca di imporlo col voto di fiducia, fuori dalla decenza. Certe occasioni capitano una volta sola, e questa forse è quella per dire a Renzi grazie, ma anche no.

domenica 26 aprile 2015

Giochiamo al 25 aprile (il fascista lo fai tu)

Non credo proprio che mi leggano, ma gli Amici di Israele, decidendo di sfilare al corteo del 25 aprile senza la bandiera dello Stato di Israele, hanno fatto la cosa più intelligente: e chi ha continuato a fischiarli, nonostante sventolassero solo i simboli di una brigata che combatté nazisti e fascisti, la più sbagliata.

Da ieri chi accusa i filopalestinesi di antisemitismo ha un argomento in più; chi ha interesse a descrivere un’Italia e un’Europa sempre più difficili per gli ebrei, un nuovo episodio da raccontare. Rimane un mistero come tutto questo possa risultare utile alla causa dei palestinesi, di cui sventolate orgogliosi le bandiere: a occhio sembra più un favore ai sionisti, che i vostri fischi rendono più forti. D’altro canto è pur vero che in corteo si procede a tentoni, e da lontano tutte le bandiere si somigliano; che il clima era pesante da settimane; che la richiesta di bandire dal corteo le bandiere palestinesi era una provocazione bella e buona, e l’assenza di bandiere israeliane una relativa sorpresa: è tutto vero, e non vi scusa. Vi siete fatti fregare.

A questo punto il fatto che siate davvero antisemiti o no è irrilevante: era la parte che avevano scritto per voi, e non vi siete posti nessun problema a recitarla. Non si è mai idioti inutili; ci sarà sempre chi dalla vostra idiozia saprà trarre vantaggio, e non è con lui che ha senso prendersela.

sabato 25 aprile 2015

Il Piave mormorò: Meloni, Salvini, ripassate il sussidiario

70 anni di pace oggi, almeno qui da noi. Non è straordinario? E se non lo festeggiamo, che altro dovremmo festeggiare? Giorgia Meloni, cui la comprensibile stizza per non essere mai stata invitata non perturba il volto ormai splendente di luce propria, ci avvisa che lei sarà sul Piave il 24 maggio, e che bisognerebbe destinare altrettante risorse a celebrare “gli italiani che si sacrificarono sul Piave”, 100 anni fa.

Il 24 maggio?

La pensa così anche Salvini: “Non vogliamo lezioni da nessuno. Io festeggerò il 24 di maggio quando sul Piave morirono i nostri nonni per non far passare lo straniero”.

Il 24 maggio.

Cari Meloni e Salvini: capisco che la carriera politica intrapresa in giovane età può non aver lasciato molto tempo per ripassare nozioni da V elementare, ma è grave che nessun sottoposto vi abbia informato che il 24/5/1915, sul Piave, non morì nessun nonno. È il giorno in cui più a nord attaccammo l’Austria, nostra alleata fino a qualche mese prima, sperando di approfittare del suo impegno su altri fronti. Eravamo noi gli “stranieri” che attaccavano, il 24 maggio.

Le cose non andarono per il verso giusto e due anni dopo arretrammo fino al Piave, nell’autunno ‘17. Fu il momento più tragico della guerra, per cui preferiamo festeggiare la vittoria che arrivò l’anno seguente, il 4 novembre. La celebriamo tutti gli anni, ma le scuole non chiudono e così non ve ne siete mai accorti. Questa cosa di non voler mai lezioni da nessuno, siete sicuri? Perché prima o poi gli esami arrivano.

venerdì 24 aprile 2015

Aldo Grasso scopre il mercato del lavoro

Sulla bufala dei giovani scansafatiche che non vogliono lavorare all’Expo ormai è stato scritto di tutto, tranne forse una piccola cosa che aggiungo qui. Per quanto sia giusto sbugiardare Aldo Grasso, e dimostrare dati alla mano che ha dato credito a una notizia falsa, in realtà in questo caso il problema sta un po’ più a monte: non nella notizia falsa (al Corriere potrebbero pure assumere qualcuno che le verifica, non spenderebbero molto), ma nella retorica che se ne fa.

Se davvero intorno all’Expo c'è offerta di lavoro, e quell'offerta non incontra la domanda, la questione è molto semplice: l'offerta va ritoccata verso l'alto. Il mercato funziona così, e il moralismo non serve a niente (una volta magari a vender copie, ma anche su questo fronte ormai lascia a desiderare). Se davvero chi offre impieghi non trova compratori, si vede che paga poco. Se vuole sul serio trovare forza lavoro, dovrà pagarla un po' di più. Offerta, domanda, è semplicissimo. I giovani non vogliono lavorare per un tozzo di pane? Non si accontenteranno di un tozzo di pane e di una predica di Aldo Grasso. Provate con due tozzi. Non è mica comunismo questo: è una cosa molto più basilare che al Corriere hanno dato per scontato per anni. Liberismo, credo che si chiami.

Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca... (Assedio in pausa caffè, 2011).

Il Panino ai 7 Vendicatori


Avengers: Age of Ultron (Joss Whedon, 2015)

Vendicatori uniti!: la terra è, ovviamente, in pericolo. Da qualche parte è nascosto uno scettro che nasconde una gemma che nasconde un computer che nasconde un'altra minaccia ancora. Il miglior modo per sconfiggerla è ovviamente creare un'intelligenza artificiale che però si ribellerà e creerà un'altra intelligenza artificiale che si ribellerà al ribelle, così che alla fine quasi nessuno degli eroi si farà male, di quelli di cui la Marvel detiene i diritti. Ma voi volete sapere se è un bel film.

Beh, sì, nel suo genere è il massimo. Per dire c'è una sequenza in cui Hulk e un Iron Man sotto steroidi se le danno di santa ragione, è una cosa che -

È il miglior film della Marvel?

 
Sempre questa domanda. Non saprei. Iron Man 3 era più disneyano. Winter Soldier cercava di darsi un tono. Quelli di Thor non li guardo (mai sopportato Thor). I guardiani della galassia era cazzaro al punto giusto, insomma se alla Marvel hanno sbagliato qualcosa negli ultimi anni io non me ne sono accorto. Sono bravi, conoscono il genere, sanno fino a che punto possono stravolgere i personaggi (alcuni anche parecchio, ma sempre per un buon motivo), e soprattutto hanno un grande rispetto per il loro pubblico metà bambino e metà quarantenne nerd. Forse Iron Man 3 guardava più al bambino, Winter Soldier più al nerd, quanto ad Avengers... c'è Joss Whedon in cabina che fa quel che può (e può parecchio): deve seguire sei o sette eroi alla volta e ci riesce - è incredibile come riesca a dare spessore anche ai meno interessanti, il buon vecchio Occhio di Falco - deve raccontare una storia non troppo cretina e ci riesce, deve rallegrare i più piccoli con lunghe sequenze in cui scoppia tutto e ci riesce. Alla fine si esce esausti e soddisfatti, ma chissà se è davvero il miglior film della Marvel. Può anche darsi di no.

In effetti c’è troppa roba nel panino, non è che ci gustiamo davvero tutto. Se devo essere sincero, probabilmente digerisco meglio i film in cui c’è un solo eroe, qualche superamico e due o tre supernemici: un solo vero ingrediente con qualche condimento ben dosato. D’altro canto guardiamoci in faccia: di cosa stiamo parlando? Non siamo mica gourmet, non siamo al ristorante. Siamo in un fast food, e al fast food vogliamo il panino con tutti gli ingredienti. Compresi quelli che presi da soli ci stomacherebbero, ad esempio il salmone norvegese – da Whedon molto sapientemente affumicato e usato quasi soltanto come intermezzo comico. Ma anche il cetriolino a stelle e strisce, sulla carta l’elemento più dolciastro e indigeribile, negli anni è stato trattato al punto che ormai riesce ad armonizzarsi che è un piacere – è una delle cose migliori. In attesa di quel panino tutto di Vedova Nera, che per qualche oscuro motivo non ci cucineranno mai. Avengers – Age of Ultron è quell’enorme burger ripieno di ogni ben di dio che ti fa salivare anche se alla fine mentre lo mangi non distingui più i sapori, non capisci più niente, e alla fine prevale più un senso di colpa che di sazietà. Un piacere infantile e poco sano da prendersi una volta ogni due o tre anni, ché noi in realtà siamo adulti e di solito andiamo a mangiare cose sane e genuine in ristoranti seri.

“Ah, grandissimo Nanni, come sta?”
“Malissimo, gli è morta la mamma”.
“Oh poveraccio. Mi dispiace”.
“Mi ha attaccato una pezza così…”
“Eh, beh, ma lo sai com’è fatto. Ma i bucatini com’erano?”
“Ti devo dire la verità? Un po’ scotti”.
“Eh”.
“D’altronde gli è morta la mamma, cioè”.
“Ma infatti”
“Chissenefrega dei bucatini”.
“Eh già”.
“Andiamo a farci un panino?”
“Andiamo”.

Avengers: Age of Ultron è al Cityplex di Alba alle 20:30 (3d), e alle 21:30; al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo alle 19:50 (3d), 20:00, 21:00, 22:00, 22:40 (3d), 22:45; all’Impero di Bra alle 20:00 (3d), 22:30 (3d), al Fiamma di Cuneo alle 21:00; al Multilanghe di Dogliani alle 21:30; all’Italia di Saluzzo alle 21:30; al Cinecittà di Savigliano alle 21:30.

giovedì 23 aprile 2015

Dove ti vedi nel 2021, Matteo Renzi?

D’altro canto, dicono, potremmo anche provarci. Renzi è uno sbruffone, ma non ha l’aria di un tiranno: vuole semplicemente controllare per 5 anni esecutivo, legislativo e rai. Vuole manovrare liberamente, anche se a fatica arriverà al 40% dei suffragi. Chi siamo noi per negarglielo? Proviamo, in fondo che abbiamo da perdere. Cinque anni.

E poi?

E poi sarà più o meno il 2021; e se l’Italia renzizzata avrà soddisfatto i minimi standard di democrazia occidentale, si verificherà con ogni probabilità l’alternanza: Renzi perderà le elezioni e qualcun altro le vincerà. Quel qualcuno forse oggi non è ancora sceso in campo, oppure è confuso dietro le prime file dei poco credibili avversari di Renzi: Salvini, Di Battista, Fitto... Non ha molta importanza oggi. Ma nel 2021?

Renzi non sarà più la cosa nuova. L’alternativa potrà essere un postleghista alla Salvini, o un postgrillino, o un postfascista, o un postberlusconiano. Se questo post-qualcosa-di-inquietante riuscirà a mettere assieme il 40% di malcontento, controllerà per cinque anni esecutivo, legislativo e rai, e nessuno potrà impedirglielo. Non c’è in Italia nulla di simile alla clausola antifascista che in Francia ha sbarrato la strada per quarant’anni ai Le Pen. Abbiamo già avuto Berlusconi ed ex fascisti al governo, e ne portiamo i segni. Nel 2021 potrà risuccedere: chi ne sarà ritenuto responsabile?

D’altro canto, dicono, potremmo provarci lo stesso. Forse (pensano) il 2021 non arriverà mai. Oppure Renzi vincerà per sempre.

mercoledì 22 aprile 2015

Chi è degno di sfilare il 25 aprile? (io no)

Qualche lettore amico di Israele ha trovato molto grave che in un pezzo di 1500 caratteri sulle bandiere israeliane al corteo del 25 aprile, io non abbia trovato posto per una riflessione sul Gran Muftì di Gerusalemme, il leader arabo che si alleò con Hitler contro gli ebrei. Sarà forse revisionismo il mio? Spero di no; a mia discolpa potrei obiettare che il Muftì non è il fondatore dell’indipendentismo palestinese, e la sua bandiera non è proprio quella che sventolano i palestinesi - come la bandiera della Brigata Ebraica non è quella di Israele. Ma forse sono solo patetiche scuse. Se nella tua storia c’è un alleato di Hitler, non sei degno di sfilare nel corteo della Liberazione. Togliamo dunque le bandiere palestinesi. E i filopalestinesi in generale.

Bundesarchiv Bild 146-1978-070-05A, Amin al Husseini
bei bosnischen SS-Freiwilligen di Bundesarchiv,
Bild 146-1978-070-05A / Mielke / CC-BY-SA.
Con licenza CC BY-SA 3.0 de tramite Wikimedia Commons.
A questo punto però temo di non poter venire neanch’io, perché… mio nonno era nell’esercito regio. Tempo di sparare un colpo ed era già prigioniero in Sudafrica, e però indubbiamente prese ordini da alleati di Hitler. Lo fecero tutti i nostri nonni, anche quelli che poi diventarono partigiani; il che forse ci impedisce di sventolare un tricolore così simile a quello di fascisti e repubblichini, e di accompagnare i filoisraeliani al corteo del 25/4.

D’altro canto, se li lasciamo soli, che penseranno di noi? Forse che li stiamo deliberatamente isolando, accerchiando? E allora che si fa? Davvero non lo so. Cari amici di Israele, ditelo voi cosa possiamo fare. Io vorrei tanto non offendervi, ma mi domando se sia più possibile.

Tanto poi ci pensa Piripacchio

D’altro canto - dicono - l’italicum sarà anche brutto, forse non del tutto costituzionale e neanche tanto democratico, però… è pur sempre qualcosa, no? Si poteva fare di meglio? Certamente. E però il meglio è nemico del bene. Come dice l’intellettuale: “Un paese riformista è un paese che fa un sacco di cose insufficienti”! Il riformismo pare funzioni così: si scrivono leggi brutte che sono sempre meglio che niente, e poi… e poi al massimo se davvero sono scritte così male le miglioreremo. Facciamo sempre in tempo a migliorarle, no?

Senza dubbio, che fretta c’è.

Mettiamo che Renzi l'anno prossimo vinca col 40%... ma perché proprio Renzi, sembra quasi che ce l'abbia con lui. Mettiamo che l’anno prossimo un signor Piripacchio vinca col 40%. In parlamento avrà una maggioranza solida per cinque anni, composta per una buona parte da persone nominate direttamente da lui. Agli altri partiti non resterà un po' di spazio tra parlamento e media per il talent-show in cui chi strepita di più sarà eletto anti-Piripacchio: l’unico che avrà qualche chance di raggiungere il ballottaggio alle elezioni successive. Nel frattempo Piripacchio governerà indisturbato, controllando tra l’altro tutte le emittenti di Stato. Per cinque anni.

Ecco, in questi cinque anni io me lo immagino proprio, il signor Piripacchio, mentre pensa: certo che la legge elettorale che mi ha così indegnamente favorito… era proprio scritta male. Aspetta, aspetta che la miglioro un po’. Aspetta, aspetta, certo, certo.

martedì 21 aprile 2015

La buona scuola, un po' islamica, di Renzi

"Deve essere chiaro che noi non lasceremo la scuola ai sindacati, la scuola è delle famiglie e degli studenti”.

Caro presidente Renzi, vorrei rassicurarla: nessun sindacato si prenderà la scuola. Si tratta di pacifiche organizzazioni di lavoratori che lottano per ottenere migliori condizioni di lavoro - è un nostro diritto, da qualche tempo.

Quanto alla scuola, no: non è “degli studenti”, che fino a 16 anni sono obbligati a frequentarla, né delle famiglie. Non è ancora nemmeno del preside-manager previsto dalla Buona Scuola, che tra pochi mesi deciderà tutto in totale autonomia. La scuola pubblica, perlomeno, è della collettività: e infatti al suo mantenimento partecipa in uguale modo sia chi ha figli, sia chi no e nemmeno ne vuole. Anch'essi hanno comunque interesse ad avere nel proprio quartiere scuole frequentate e funzionali, e vicini alfabetizzati e avviati a professioni ed esistenze dignitose. Questo è l'obiettivo della scuola di Stato, cioè di tutti.

Se poi qualche famiglia chiede per i propri figli qualcosa di più, nessuno glielo impedisce: ma dovrebbe procurarselo con le proprie risorse, non con quelle dei contribuenti. Non coi miei soldi, insomma; nella Costituzione almeno c'è scritto così (invece, nell'ultimo romanzo di Houellebecq, l'eurocaliffo taglia i fondi pubblici all'istruzione e ristruttura la società intorno alla cellula famigliare. È un leader islamico, ovviamente, ma molti nostri leader cattolici non avrebbero un granché da eccepire).

lunedì 20 aprile 2015

Mentre Salvini rifà l'Impero, ti offro un caffè

Certo, si potrebbe risolvere il problema come dice Salvini: cioè in pratica... sbarcare in Libia, Tunisia, Egitto, e occuparne tutta la regione costiera. L'ultima volta che ci siamo riusciti ci chiamavamo ancora Impero Romano, ma se vi sembra un'alternativa praticabile, perché no.

Oppure potremmo limitarci alla proposta più terra-terra della Santanchè, che in sostanza propone di monitorare la costa africana 24 ore su 24 con aeroplani pronti ad affondare qualsiasi barcone prima che lasci il porto. Toccherà immagino acquistare qualche f35 in più, ma se dite che conviene avrete senz'altro fatto i vostri conti.

http://www.ansa.it
Se invece non ne potete più di ascoltare proposte del genere dal collega, o dall'amico, o dal conoscente al bar o su facebook, c'è una cosa molto semplice e tranquilla che potete fare: lasciatelo parlare e offritegli un caffè. Va bene anche quello alla macchinetta.

Quello a un certo punto dovrà pur smettere di parlare di barconi e invasioni ed Eurabia per accostare al labbro la tazzina: ecco, profittate di quel breve momento per spiegargli quanto gli costava l'operazione Mare Nostrum (quella che ha salvato 160.000 migranti in un anno). Un caffè al mese. Quel caffè.

Che moltiplicato per 38 milioni di contribuenti italiani, per 12 mesi, ha evitato per un anno disgrazie come quella di ieri. Bastava un caffè.

Ma forse conviene mandare gli f35 in rotazione. O rifare l’impero Romano. Lo saprà bene Salvini, avrà fatto i suoi conti.

Ne uccidiamo più dell'Isis

È una relativa fortuna che i cristiani d’Africa non abbiano grandi possibilità di accedere alle dichiarazioni di Giorgia Meloni, o agli editoriali del Giornale. In caso contrario avrebbero avuto, almeno fino a ieri, la netta sensazione di essere al centro delle preoccupazioni dei loro correligionari italiani. E in effetti i cristiani africani interessano alla Meloni o a Salvini, ma solo quando muoiono per mano di qualche islamico. Se annegano sono meno interessanti.

Anche la Santanchè: non è che li vuole morti (anche se non le dà certo fastidio che qualcuno lo pensi). Magari è davvero convinta che intercettare i barconi coi caccia costi meno che soccorrerli.

A proposito di massacri. C’è chi sostiene che Stalin e Mao siano da giudicare sullo stesso piano di Hitler: per quanto i loro massacri fossero meno pianificati, e più spesso risultato di negligenza e scarsa organizzazione. Sono d’accordo: tendo a giudicare le persone dai risultati, più che dalle intenzioni. Credo che nel futuro sempre più persone la penseranno come me: e riguardo alle stragi di cristiani intorno al mediterraneo, non faranno tutta questa differenza tra integralismo islamico e xenofobia italiana. Ha ucciso più cristiani Al Qaeda, o la negligenza del ministro Maroni? Più l’Isis, o la decisione di sospendere Mare Nostrum (900 vittime in un solo anno)? La conta dei morti non si potrà mai fare, anche perché il battesimo non lascia segni. Dio magari i suoi li riconosce, ma per il mare sono tutti morti uguali.

domenica 19 aprile 2015

Le due verità del poliziotto

Su almeno una cosa avevi ragione: esistono sempre due verità. La prima ti fa grosso con gli amici; la seconda ti salva il culo quando rischi il posto.

Quindi è vero che eri alle Diaz; però è vero che non hai picchiato nessuno.

È vero che volevi contrapporti "con giovane vigoria", ma è vero che "fu tortura", "fu uno scempio".

È vero che tu e i tuoi colleghi si sentono i "perfetti capri espiatori", ma è vero che nessuno di loro ha pagato un bel niente fin qui: e anche tu, se fossi stato solo un po' più attento con facebook, l'avresti passata ancora più liscia. Esistono sempre due verità.

Io per esempio dovrei essere contento. Ho visto un tizio che faceva lo sbruffone, e poi l'ho visto costretto a fare dietro-front. Spettacolo istruttivo e un po' liberatorio. Questo è vero.

D'altronde.

Prima sapevo solo che mi odiavi; adesso so che all'occorrenza puoi cambiare verità, e tradire anche te stesso. Avrai ancora qualche temporaneo fastidio e poi tornerai in servizio. Se mi troverò davanti a te, che verità sceglierai? E chi potrò chiamare, in quel momento? Di chi mi potrò fidare?

Qualcuno in seguito potrà sempre dire ai giornali che c’era e non ha visto niente - e agli amici che lo rifarebbe.

sabato 18 aprile 2015

La scuola sciopera? Sul serio?

Se davvero il 5 maggio si farà uno sciopero unitario della scuola, sarà il primo dal 2008. I miei studenti di allora fanno l'università. Erano i tempi della Gelmini: le LIM che regalò perdono i pezzi. Le subentrò Profumo, che propose di aumentarci di un terzo l'orario a 0 euro. Poi si rimangiò tutto e nemmeno quella volta si fece uno sciopero unitario. Arrivò la Carrozza e adesso c'è la Giannini - e forse per la prima volta dopo 7 anni sciopereremo assieme. Quelli che scioperano ancora: molti colleghi non ci credono più. Qualche volta se non si riesce a prendere un permesso si dà un'occhiata alle comunicazioni, hai visto mai che qualche sigla sia in sollevazione, un cobas o una gilda. Ma scioperi veri, quelli che chiudono le scuole - chi li ha visti mai, chi se ne ricorda.

Per tutti questi anni, ogni volta che avete sentito dire che questa o quella riforma sulla scuola erano stati bloccati dalle proteste compatte degli insegnanti, avete sentito una verità molto parziale - se non una pietosa bugia. Nessuno sciopero è stato particolarmente riuscito, nessuna sollevazione avrebbe bloccato nulla, se dall’altra parte ci fossero state proposte chiare e una determinazione politica. Ma non c’erano. Per molto tempo, l’ostilità della classe docente è stato un comodo alibi per una politica che alla scuola non voleva davvero metter mano. Era più comodo sparare proposte impossibili e poi lamentarsi dell’ostilità dei prof. Almeno questo equivoco finisce il 5 maggio. Forse.

venerdì 17 aprile 2015

Se anche Moretti ha perso le parole


Mia madre
(Nanni Moretti, 2015).

Spesso penso di non avere grande capacità, per questo mestiere. Supplisco girando molte inquadrature, lavorando con gli attori, ma non credo di avere molto talento. Peccato.

Almeno una volta Nanni Moretti credeva di avere sbagliato film. Reduce da una malattia grave, si era messo a girare una cosa molto semplice, un corto da proiettare in un solo cinema; alla fine un po' perplesso si ritrovò in mano un film intero e lo presentò a Cannes. Vinse la palma d'oro.

Qualche anno dopo gli capitò di andare a una manifestazione senza niente da dire. La manifestazione era male organizzata e lui veramente non sapeva cosa stava facendo lì. Gli chiesero di salire sul palco, di dire due parole. Dieci minuti dopo era il leader dei girotondini.

 "Scusa, sono un po' agitato. Non sono abituato, non mi rendo nemmeno bene conto di quel che è successo. È successo, così. No, no, non ero arrabbiato. Ero stupefatto, poi ero sul palco, poi ho parlato. Ho parlato molto?" No, non molto, due minuti. "E cosa ho detto esattamente?"

È un problema più nostro che suo: abbiamo bisogno di Nanni Moretti, più di quanto lui abbia bisogno di noi. Il perché non è chiaro ma potrebbe trattarsi di una ragione banalissima - la statura. È un bell'uomo, alto, che senza sforzo apparente attira l'attenzione su di sé. È il primo a saperlo e a soffrirne. Quel tipo di sagoma rassicurante da cui ci aspettiamo parole serene, tranquille, ponderate, che lui quasi sempre non ha. Lui poi ha un alto senso della dignità, che gli impedisce di abbassare la guardia come una volta. Non può più dare di matto, anche se era la cosa più divertente, né scappare disperato all'inseguimento delle merendine che furono. Al suo posto metterà un alterego trasparente e più fragile, Orlando o Piccoli o la Buy. Per sé ritaglierà un ruolo laterale, sempre più simile all'immagine mentale che abbiamo tutti del Nanni Moretti adulto: un superego distinto in un maglione con le toppe che affronta i problemi della vita con serenità; e se va a pezzi, lo fa con molta dignità, su una panchina.



Però anche questo signore sulla panchina a un certo punto ce lo dice molto chiaro: non sa più cosa dire (continua su +eventi!) Non è la politica che ci sta togliendo le parole. Non è il neoliberismo e le bieche multinazionali che si comprano le fabbriche in cui non siamo mai entrati davvero. Ad ammutolirci è la vita, la normalissima vita fatta di bollette del gas e lavatrici che perdono acqua e rovinano il parquet, rapporti di coppia che non vanno da nessuna parte, genitori che muoiono senza chiedere il permesso e figli che non si applicano e non capiranno mai Lucrezio, ammesso che sia importante capire Lucrezio o anche soltanto discuterne. La vita ci riduce a uno schifo, e non c’è niente che Moretti possa farci, tranne un altro film su un lutto (il terzo contando Caos Calmo) – d’altro canto ci ha promesso solennemente di parlare soltanto di quello che sa, e quindi parlerà per l’ennesima volta di un regista come lui, di nuovo alle prese con un film che non sta venendo bene. A un attore metterà in bocca che il cinema fa schifo, che è una perdita di tempo; e il regista un dittatore incapace a cui dicono tutti di sì anche se in realtà non sanno cosa vuole, e non lo sa nemmeno lui. Ma sul serio credete che io sia bravo? Che io sappia dirigere? Si vede che non ne sapete niente di cinema. Probabilmente.

D’altro canto forse non abbiamo davvero voglia di vedere bei film. Forse abbiamo più voglia di sapere come stai. Ti abbiamo sempre voluto bene, non ci è chiaro il perché ma è così. Magari davvero sei quel compagno di classe alto dietro al quale amavamo nasconderci quando la prof interrogava. Ogni tanto ci piacerebbe venirti a trovare, ascoltare i fatti tuoi e raccontarti i nostri, perché qualche volte ci hai dato l’impressione di interessartene, ci hai fatto sentire importanti. Ci hai regalato parole e immagini di cui non hai idea di quanto avessimo bisogno – anche quando sostenevi di non aver niente da dire, buttavi lì una mezza frase e ci restava in mente per anni; non si è mai capito come facessi, ma ha sempre funzionato. Ci dispiace che se sei triste, ci dispiace che hai perso la mamma; anche un po’ egoisticamente per noi, che speravamo in un film un po’ più allegro, e adesso dovremo aspettare chissà quanti altri anni. Di cinema, davvero, non ci intendiamo, ma anche quando ti gira male dai sempre l’impressione di essere il migliore sulla piazza, sai? Non abbiamo neanche il coraggio di chiedertelo, ma ci piacerebbe tanto se la prossima volta osassi un po’; se per una volta provassi a parlare di qualcosa che non conosci. Un film di astrofisica, ti immagini Margherita Buy che non riesce ad avere relazioni di coppia, però nella stazione spaziale orbitante? Oppure Il ritorno della mamma di Freud, o Cataratte 2, o il canovaccio di Militanza Militanza però ambientato in un MeetUp grillino. Qualunque cosa tranne l’elaborazione del lutto, ecco, con l’elaborazione del lutto siamo a posto così, davvero, grazie.

Mia madre è al Cityplex di Alba (20:00, 22:15), all’Impero di Bra (20:20, 22:30) e al Fiamma di Cuneo (21:10)

Il sogno di Almirante

L'Italia non si è ritrovata repubblica parlamentare per caso. A monte di questa scelta, l’orrore per ciò a cui ci aveva portato la mistica dell'uomo forte. La sospensione dei diritti civili; la stagnazione economica; le sciagurate avventure coloniali; le leggi razziali; la folle idea di entrare in una guerra mondiale salendo sul carro armato del vincitore. A lungo nessuno osò più parlarne, fuorché Almirante e i suoi nostalgici. Più tardi Craxi pensò che gli italiani si fossero lasciati alle spalle i fantasmi e fossero pronti ad apprezzare un po’ di decisionismo leaderistico. Sbagliò tempo (di poco).

La fiaccola presidenzialista passa a Berlusconi, che - constatata la difficoltà di far passare una riforma tanto radicale - è il primo a proporre presidenzialismi camuffati. La riforma Calderoli (2005) obbliga le coalizioni a scrivere sulla scheda il candidato premier. Un’evidente forzatura della costituzione: spetta al presidente della Repubblica nominare il capo del governo, dopo aver consultato il parlamento che rappresenta gli italiani senza vincolo di mandato. Abbiamo poi scoperto che era una legge incostituzionale.

E l'Italicum? I cittadini voteranno Renzi, e la mattina Renzi salirà a ricevere l'incarico da Mattarella. Un atto dovuto che renderà pleonastico lo stesso Mattarella, e la cerimonia seguente con cui deputati scelti su liste stilate da Renzi voteranno la fiducia al governo Renzi - nel caso in cui vinca le elezioni: il che, viste le alternative, è persino augurabile.

giovedì 16 aprile 2015

Perché non lo chiami presidenzialismo, Matteo Renzi?

Ancor prima del contenuto dell'Italicum, a infastidirmi è il pacchetto. Ovvero: se Renzi dichiarasse: “Sai che c’è? La repubblica parlamentare ha stancato, passiamo al presidenzialismo!” almeno ne apprezzerei la sincerità. E potrei obiettare che condivido la diffidenza dei padri costituenti nei confronti dell’uomo solo al comando. D’altro canto di repubbliche presidenziali ne esistono tante, e per lo più non si tratta di Stati totalitari. Alla Francia è già successo di passare da parlamentare a presidenziale, e il risultato non è stato catastrofico. Quindi se Renzi pensa che una cosa del genere possa andare per l’Italia, potrebbe dirlo.

Invece si guarda bene dal chiamare presidenzialismo il pacchetto che ci sta vendendo. Come Berlusconi prima di lui, che si contentò di stampigliare il suo nome sul simbolo del partito, e sostenere (non a torto) che la gente votava per lui e non per il partito. Renzi vuole a tutti i costi che gli elettori conoscano il nome del vincitore la sera delle elezioni: il parlamento avrà un ruolo pleonastico, e comunque sarà in buona parte composto da persone scelte da lui. Da cui il sospetto: ma se il presidenzialismo è davvero un prodotto così buono, perché non lo chiami col suo nome? È anche una questione di rispetto. Se ha il collo di una giraffa, le orecchie e le zampe di una giraffa, perché non ammetti che mi stai vendendo una giraffa? O mi credi un cretino o... non mi vengono alternative, mi sa proprio che mi credi un cretino.

mercoledì 15 aprile 2015

Ma cos'è questa storia che non possiamo insultarvi su facebook?

Ieri Tortosa era fiero d’essere stato alle Diaz e lo avrebbe rifatto 1000 volte; appena Repubblica se n'è accorta ha fieramente cancellato il suo scritto su Facebook, (probabilmente lo cancellerebbe altre 1000 volte). Al telefono ha spiegato che era là ma non ha visto niente, non sa niente, è stato travisato. Finirà sotto inchiesta, una gran seccatura, e tutto questo perché? Ha solo scritto che loro poliziotti ci odiano perché non abbiamo la tuta e siamo radical chic. Ha scritto quel che pensa. È colpa sua se non ha capito che Facebook è un luogo pubblico, e che occorre riflettere prima di rovesciarvi scemenze da bar?

Non è una domanda retorica.

È la stessa che sollevava ieri Gramellini: in fin dei conti cosa ha fatto la povera Paola Saluzzi? Ha scritto che Alonso è un imbecille. Vabbe', spiega Gramellini, "gli ha dato dell’imbecille su Twitter, non in tv". È solo Twitter! Adesso non ci si può più dare dell'imbecille su Twitter? E Alonso osa prendersela? E Murdoch sospenderla? Ma mica per buona educazione, sapete, solo per “gli interessi economici”. Cioè al giorno d’oggi l’educazione serve anche a fare affari, signora mia. Ma davvero uno se la può prendere per un imbecille su Twitter?

Anche questa non è una domanda retorica.

Sono due domande sceme. No, non potete offendere chiunque in pubblico. No, se qualcuno se la prenderà non potrete sempre contare sulla solidarietà della vostra categoria. Ai vostri figli perlomeno lo stiamo insegnando: speriamo che a casa ve lo spieghino.


(Ma non avevo dubbi, guarda).

Gira di notte e ti succhia l'anima

Lo sciacallo (The Nightcrawler) Dan Gilroy, 2014


"Qualcuno una volta ha detto che non capisco le persone. La psicologia, insomma. Posso garantire che non è così. Io passo il tempo a capire le persone. Mi mescolo tra loro, osservo i loro comportamenti, ascolto i loro discorsi, e imparo. Non ho avuto un'istruzione convenzionale, ma imparo molto in fretta. So contrattare. Sono in grado comprendere rapidamente le attese del mio interlocutore, il che mi consente di calibrare con più efficacia i miei messaggi e ottenere in breve tempo quello che mi serve. Perciò è errato sostenere che non capisco le persone".

È solo che non mi piacciono.

Lo sciacallo è un alieno... (continua su +eventi!) Uno serio, intendo, non di quelli che dopo un po’ diventano sentimentali e si affezionano. Molto più credibile della Johansson in Under the Skin, Jake Gyllenhaal non solleva mai la maschera. La prima volta che lo vediamo sta rubando il rame in un cantiere, alla base della catena alimentare. Ma ha già quegli occhi finti che sembrano dipinti su palpebre chiuse. Non ha famiglia né origine; è rapido e spietato, si adatta alle situazioni e non si accontenta mai. Dal furto di oggetti a quello di immagini sul luogo del disastro, il passo è quasi logico. Ma parassitare le nostre peggiori abitudini mediatiche non gli basta: lui vuole andare oltre, mostrarci la via.

Qualcuno ha paragonato la prova di Gyllenhaal a quella di De Niro in Taxi Driver, e soprattutto in Re per una notte: la caricatura del self made man germinato dal nulla e disposto a qualunque cosa, strano fungo cresciuto una notte nella jungla sociale. Gyllenhaal purtroppo non può contare su una storia altrettanto buona: Dan Gilroy, al suo esordio in regia, si preoccupa forse eccessivamente che passi il messaggio polemico nei confronti del sensazionalismo della cronaca nera; in realtà mostra più talento per le scene d’azione (fantastici inseguimenti) che per la didascalia sociale. Il finale è un po’ ridondante, ma almeno non è il tipico finale hollywoodiano. Gli alieni sono in mezzo a noi, come noi, in certi casi siamo noi.

Lo sciacallo è al Cinema Aurora di Savigliano oggi 15 e domani 16/04/2015, alle 21:15. Buona visione!

martedì 14 aprile 2015

Il poliziotto che pestava ragazzi disarmati con vigore cameratesco

Sarebbe più interessante se fossero i poliziotti a raccontare cosa fu Genova per loro, mi dicevo. Lunedì ho letto di Gianpaolo Trevisi, che era là fuori a mettere la faccia davanti ad Agnoletto, e per l’occasione ha proiettato Diaz ai suoi allievi, invitandoli a riflettere sul fatto che “nella maggior parte dei film o delle serie televisive, grazie alle quali molti amano la Polizia, è quasi tutto inventato e nell'unico, forse, unico film che ci distrugge è tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati”.

Vedi che qualcosa è cambiato, mi sono detto. Ma proprio allora inciampo in un altro poliziotto che ci informa che lui quella notte c’era, e che lo rifarebbe mille volte: altri mille denti cavati a mille studenti disarmati? Finalmente, tra gli insulti a chi è abbastanza morto da non poter replicare, scopriamo perché bisognava assolutamente pestare a sangue gente in sacco a pelo:

“Quello che volevamo era contrapporci con forza, con giovane vigoria, con entusiasmo cameratesco a chi aveva, impunemente, dichiarato guerra all'Italia, il mio paese".

Caro poliziotto, mi spiace se ora finirai nei guai soltanto perché hai voluto essere sincero su facebook. Mentre quando spaccavi ossa nessuno ti ha fatto niente. Il punto è che tu pensavi di contrapporti con forza e giovanile vigoria, ma quel che è successo è che hai bastonato degli indifesi disarmati. Non ti sei coperto di gloria, ma di un’altra cosa. Tu e lo Stato che magari da stasera non rappresenti più.

Spendi spandi spending review

Qualche tempo fa Enrico Letta, salito un attimo a palazzo Chigi per tenere il posto in caldo, constatata la necessità di tagli drastici ma non scriteriati, nominò Carlo Cottarelli commissario straordinario per la revisione della spesa. Si trattava di un compito di una certa responsabilità, e Cottarelli non lo prese sottogamba. Provvide anzi alacremente a nominare una nutrita schiera di collaboratori, suddivisi in venti sottogruppi che, nel giro di un anno, produssero una serie di rapporti ora finalmente disponibili on line. Non c’è dubbio che sfogliandoli ci si possa fare un’idea su quali siano i tagli necessari e non più posticipabili.

Ma sono ottocento pagine.

Non resta che nominare una commissione che se li legga e ci faccia un riassunto, tanto più esauriente se la si dividerà a sua volta in una diecina di sottocommissioni, ognuna con un capitolo specifico da studiare e sintetizzare. Quando si tratta di risparmiare, da noi non si bada alle spese.

(Visto che mi avanzano un po’ di caratteri, li regalo a Francesco Daveri: Fino a che la politica dà in appalto ai tecnici la stesura di un listone di cose da fare, anche radicali, non si va da nessuna parte. Le listone dei chirurghi dei tagli sono montagne che hanno finora partorito solo il topolino della listina di spesa “aggredibile”. Con l’unico risultato che la spesa pubblica in percentuale sul Pil è aumentata di tre punti dal 2003 a oggi, per un totale di cinquanta miliardi in più.)

lunedì 13 aprile 2015

A certe feste si va per litigare: il caso 25 aprile

In 1500 caratteri la farò semplice. Questa è la bandiera della Brigata Ebraica, che diede un nobile contributo alla guerra di liberazione dal nazifascismo.



Bella. Questa è quella dello Stato di Israele, nato poco più tardi, che da tempo occupa alcuni territori dove secondo la comunità internazionale dovrebbe sorgere lo Stato di Palestina.



Pur simili, rappresentano cose un po' diverse. Perciò credo sarebbe stato utile, negli anni scorsi, portare nei cortei del 25/4 soltanto la prima, magari cogliendo l'occasione per spiegare che non era la seconda; e che la stella in sé rappresenta l'ebraismo, non uno Stato che ha una storia gloriosa ma non ha contribuito alla guerra di liberazione italiana (non ha fatto in tempo), e in questo periodo sta occupando territori di un altro Stato.

A quel punto chi venisse comunque a fischiare non ci lascerebbe dubbi: non fischierebbe Israele, ma l’ebraismo. Non esprimerebbe un sostegno alla Palestina, ma il proprio antisemitismo. Purtroppo non è mai successo.


Perlomeno, in tutte le foto che mi è capitato di vedere di cortei del 25/4, per ogni bandiera della brigata ebraica ne ho vista una dello Stato di Israele. E quindi? Niente, fate come credete. Ma non venite a dire che il 25 aprile è di tutti e che non volete litigare. Il 25 aprile non è mai stato di tutti; c’è sempre stato qualcuno che voleva litigare. Chi viene con la bandiera di Israele - e vuole fuori quelli con la bandiera della Palestina - non sarà il primo, ma non è da meno.

domenica 12 aprile 2015

Non nutrite il Langone (se potete)

C’è una specie di tacita alleanza, tra chi come Camillo Langone ormai da anni non fa altro che spararle grosse, più grosse che può, e chi, all’ennesima sparata, proverà gusto a rispondergli: vergogna, Langone, che hai scritto? Che Samantha Cristoforetti invece di diventare astronauta doveva restare vicina al suo uomo? Ma vergognati, ma quanto sei retrogrado (e quanto sono io all’avanguardia se invece lo faccio notare... )

È un gioco delle parti, da molti praticato in buona fede. No, L. non è un retrogrado. Scrive su un giornale che ha anticipato di alcuni anni le dinamiche di Internet. Il Foglio era un blog di carta, prima che nascessero i blog: e sul Foglio, da troppi anni, Langone ci sta semplicemente trollando.

Dietro la sua maschera di viveur bigotto, c’è un tizio che si eccita in privato leggendo le vostre reazioni stizzite. Un po’ triste, a mio parere. Non ha mai scritto nulla che sappia davvero di cattolico al palato dell’intenditore; se qualche prete lo legge, lo fa per divertimento come dovreste fare voi. Credo sia l’ultimo al mondo a cui freghi davvero qualcosa dell’h del nome Samantha (un po’ fastidiosa, l’ammetto). Si nutre dei vostri contributi e della vostra rabbia: se i primi non c’è verso di interromperli, quest’ultima meriterebbe bersagli più sinceri.

D’altro canto capisco la tentazione: le spara così grosse. E se la intercetto io per primo, e rilancio a tono, poi tutti mi verranno a sollevare. Lo so, lo so come funziona. Non posso certo giudicarvi.

sabato 11 aprile 2015

Addio Friendfeed, mi piacevi

Facebook non ha inventato il tasto mi piace. Fu un altro social network a introdurlo nel 07, Friendfeed. Mai sentito parlare? Eppure è sempre stato più veloce, più semplice, elegante, e senza pubblicità. Infatti dopo due anni Facebook lo comprò, ne utilizzò il codice e poi lo abbandonò a vivacchiare su un server. Ff era così ben progettato che ha continuato a funzionare fino a venerdì, quando (dopo un mese di preavviso) l’ultimo dipendente che lo gestiva ha staccato la spina.

È stata un’agonia dolcissima. I suoi utenti - tra cui un’affezionata migliaia di italiani - gli sono stati vicini fino all’ultimo, celebrandolo addirittura con feste nella vita reale. Il trito rituale quotidiano con cui tutti consultiamo le solite pagine ogni mattina da 5 o 6 anni si è interrotto, e abbiamo ritrovato contatti persi di vista, rispolverato vecchie storie, conosciuto persino facce nuove. La morte migliore che un social network si possa augurare.

Friendfeed non esiste più, ma lascia ai suoi utenti un gran ricordo. Fino all’ultimo è rimasto una bella palestra, e non diventerà mai una copia disabitata di sé stesso, come MySpace o SecondLife. Forse tutti i social network andrebbero falciati ogni 5 anni. Non potendo cambiare casa, lavoro o città, sarebbe sano potersi lasciare alle spalle almeno la paginetta a cui diamo un’occhiata ogni mezz’ora. Perderemmo forse qualche contatto, qualche “amico”? Ma uscendo fuori a cercarlo, chissà quante cose nuove scopriremmo. Ciao Ff, mi sei piaciuto.

venerdì 10 aprile 2015

Il ritorno del no global pentito (un'esclusiva per il Foglio)

Sul Foglio.it campeggia la letterina di un tizio che andò minorenne al G8 di Genova, "aizzato" tra l'altro da una trasmissione di Fabio Volo (?) Dopo aver preso un po' di mazzate, invece di tamponarsi la testa sanguinante si unì a un gruppo di devastatori, provando un inedito "furore punk" - ma sfogandosi su una vetrina già rotta "per solidarietà". Comunque se n’è pentito. Se n’è pentito davvero tanto. A Genova "quasi tutti fummo colpevoli", dice, ma nessuno ammette i propri errori. Parla per te, è la più ovvia reazione: io non ho rotto niente e mi caricavano comunque. Ma non è questo il problema.

I ragazzi erano seduti a terra con le gambe
 incrociate e le braccia in alto, quando furono
trascinati via dagli uomini della Digos.
Perugini e quattro sottufficiali falsificarono
i verbali della cattura, farcendoli di bugie.
Durante il trasferimento in macchina al carcere,
due dei no-global furono minacciati con
una pistola: Vi ammazziamo, bombaroli di merda".
Il testo è di 4 anni fa: chissà se l’autore nel mentre si sarà liberato dal senso di colpa per la povera vetrina. Il suo racconto da piccolo Fabrizio Del Dongo alla battaglia sembra mescolare episodi del 20 (agguati e camionette) e del 21 (corteo sul lungomare), il che non significa che sia falso: capitò a molti in quei giorni di confondere ricordi personali con le immagini che venivano riversate in tv o internet. Neanche questo è il problema.

È che alla fine tutti questi racconti sono uguali: treno-mazzate-devastazioni-treno. Quanto sarebbe più interessante un coraggioso sito o foglio che pubblicasse il ricordo di un poliziotto giovanissimo, addestrato da “maestri” che gli raccontavano di gavettoni di sangue infetto, e poi mollato in libertà a sparare controvento gas urticante e picchiare i primi che incontrava. Quella sì, che letterina sarebbe. Com'è che non la scrive nessuno.

giovedì 9 aprile 2015

Gli stragisti italiani e i loro cattivi maestri

"Semmai lo Stato ci tortura lasciando mano libera ai magistrati", scriveva giusto ieri Sallusti, in un pezzo dichiaratamente senza vergogna. Oggi Claudio Giardiello ha impugnato una pistola - mirava a un pubblico ministero - e ha ucciso un giudice e un avvocato. Può darsi che non fosse un lettore di Sallusti. Potrebbe essersi perso quel folle pomeriggio di tre anni fa, quando il signor Martinelli entrò armato in un ufficio postale e fece 15 ostaggi: e poiché non era un integralista islamico, né un black bloc, ma un imprenditore che non voleva pagare il canone RAI, Bossi affermò che andava "capito", e Fabrizio Rondolino lo definì "un eroe" che lottava "per le nostre libertà naturali". Un eroe ancora barricato in un ufficio postale con fucile a pompa, due pistole e 15 ostaggi.
https://twitter.com/loffio

Può darsi che di questo "brutto clima" di cui si lamenta l'ex pm Gherardo Colombo, non siano responsabili gli organi di stampa inflessibili coi no-tav e pieni di comprensione per la sofferenza di chiunque sia in difficoltà coi pagamenti - purché abbia un cognome italiano. "Compagni che sbagliano", si diceva una volta: adesso sono più spesso imprenditori, ma insomma, vanno capiti. Sparano, feriscono, uccidono: ma interpretano un disagio reale. Ecco, chiunque scriva queste cose, sappia che almeno per quanto mi riguarda fa lo stesso schifo di chi scusava il terrorismo brigatista 40 anni fa, e quello islamico oggi. Magari non siete responsabili, no. Sicuramente siete irresponsabili.

Non c'è "devastazione" che spieghi le Diaz, basta con le cazzate.

C’è ancora chi si attenta a difendere la polizia. Di fronte alla sentenza limpida, incontestabile di Strasburgo, c’è chi insiste a trovare attenuanti: “a Genova fu il finimondo”! Certo che ci fu: e le forze dell’ordine vi parteciparono, sparando per ore fumogeni a caso, caricando cortei pacifici mentre black bloc e altri vandalizzavano indisturbati la città. Poi, la sera, arrivarono in un dormitorio e bastonarono persone indifese già nel sacco a pelo. Questo accadde, questo risulta dalle sentenze.

Chi vuol far passare la macelleria delle Diaz per una reazione a caldo, giustificata da un’emergenza, mente ai lettori e forse a sé stesso. I macellai delle Diaz non erano isolati e in panico come in piazza Alimonda: avevano ricevuto un certo tipo di preparazione e ordini precisi (da chi?), e li eseguirono con freddezza.

Secondo Sallusti stanno torturando i poliziotti.
Che Sallusti non si vergogni di loro non sorprende: Sallusti non si vergogna per definizione. Anche dal Foglio cosa pretendere più che un inchino a qualsiasi mano stringa il bastone. Come andarono le cose, solo il vecchio Cossiga poteva permettersi di spiegarcelo: “infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città… Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”. Cossiga, attenzione, non parlava di Genova. Parlava in generale.

mercoledì 8 aprile 2015

Cestaro è un eroe, ma alle Diaz fu davvero "tortura"?

Ad Arnaldo Cestaro, l’uomo tranquillo che a 62 anni cercò di mettersi tra i giovani accampati nella scuola Diaz e le guardie impazzite che avevano fatto irruzione, dobbiamo più che una semplice riconoscenza. Cestaro poteva morirne; ne riportò danni permanenti. Da allora non ha smesso di testimoniare e denunciare quanto successo, finché anche a Strasburgo non gli hanno dato ragione: quel che accadde la sera del 21 luglio 2001 fu tortura, e se in Italia manca ancora una definizione giuridica del concetto, peggio per noi. Dobbiamo questo al signor Cestaro, che poteva starsene in un angolo zitto e buono, e si alzò a difendere ragazzi che avevano la mia età. Non ha ancora smesso: a 75 anni li sta ancora difendendo.

Detto questo, confesso una perplessità. Per la Treccani la tortura consiste in “varie forme di coercizione fisica applicate a un imputato, più di rado a un testimone o ad altro soggetto processuale, allo scopo di estorcere loro una confessione o altra dichiarazione utile”. La definizione si può applicare al caso Bolzaneto, ma non aiuta molto a comprendere quanto stava accadendo nello stesso momento alle Diaz: più che tortura, “macelleria”, come la chiamò un poliziotto. I colleghi che roteavano i manganelli sui denti di manifestanti nel sacco a pelo non stavano cercando informazioni. L’ordine era un altro: spaventarci? Alzare ulteriormente una tensione già insostenibile? Ancora non lo sappiamo. Ma la risposta è tra noi, non è che Strasburgo possa aiutarci anche in questo.

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