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martedì 12 gennaio 2016

L'alieno che cadde a casa mia

Una volta questa internet era molto più semplice. Ogni tanto ci lasciava una persona famosa, e a tutti veniva voglia di scrivere due pensierini su quanto fosse stato importante per la propria vita. Molto spesso parlavamo più di noi che di lui, credo sia inevitabile. Non è cambiato particolarmente nulla, salvo che è tutto moltiplicato per mille, e questo rende i lutti on line ridondanti, fastidiosi. Me ne rendo conto. Ma sono un tizio all'antica e non me ne andrò da qui prima di aver scritto due pensierini su quanto è stato importante per me David Bowie. Mi scuso per il disturbo, ma nessuno vi trattiene.

Un'altra cosa inevitabile, è che anche stavolta la musica passerà in secondo piano. Lo chiameranno icona di stile e camaleonte, glorificheranno la sua capacità di aggiornare la sua immagine - tutto assolutamente vero, ma una volta ogni tanto si potrebbe anche segnalare che prima di ogni cosa Bowie è stato un musicista straordinario, un interprete originalissimo e un compositore dallo stile assolutamente peculiare - uno dei motivi per cui poteva permettersi di cambiare maschere e costumi era proprio il fatto di avere una personalità forte e immediatamente riconoscibile, qualsiasi cosa decidesse di fare.

All'inizio dei '70 stava rischiando di diventare semplicemente un cantante rock. The Man Who Sold the World era un disco robusto, giocava nello stesso campionato di Cream e Led Zeppelin, credo che si tratti del disco di Bowie preferito da Kurt Cobain. Toni Visconti in più occasioni ha dato l'impressione di volersi attribuire la paternità dei pezzi, che a suo dire uscivano soprattutto dalle jam session con Mick Ronson, mentre Bowie sembrava sprofondato nell'apatia e faticava a staccarsi dalla moglie appena sposata e a alzarsi dal divano per cantare qualcosa - non sembra già una scena dell'Uomo che cadde sulla terra? Bowie però ha sempre rivendicato la paternità delle canzoni del disco. Guardate i cambi di accordi, diceva. Solo io li scrivo così. Ecco, ogni tanto mi piacerebbe leggere - oltre al solito storytelling sul periodo glam, il periodo berlinese, la deriva degli anni '80, ecc. ecc. - un bel pezzo tecnico su Bowie musicista, perché su questa cosa degli accordi credo che avesse ragione. Solo lui scriveva canzoni pop o rock con certi passaggi, e questo ha continuato a farlo per tutta la sua carriera, indifferentemente dal genere che aveva deciso di mutuare o inventare.

Certo, se ti accosti a Bowie perché t'interessa il trasformista - e non c'è niente di male in questo, sia chiaro - probabilmente fai più caso ai continui cambi di registro: dalle ballate al glam al r'n'b alla disco (il lato B di Diamond Dogs!) al krautrock eccetera. Ma se hai orecchio per gli accordi ti rendi conto che c'è qualcosa di costante in tutta la sua carriera. Sotto la maschera spesso disorientante degli arrangiamenti c'è una dimensione armonica che rende Absolute Beginners o Heroes o Starman molto più simili di quanto vorrebbero sembrare. Non so più dove ho letto che a un certo punto Bowie era incerto se diventare l'Iggy Pop inglese o il nuovo Jacques Brel. Anche il lascito di Kurt Weill va ben oltre il ripescaggio di Moon of Alabama. Bowie era l'unica rockstar degli anni Settanta ad avere queste radici continentali. Te ne accorgi dall'enfasi di certi ritornelli fuori dal tempo, che incastonati in pezzi rock suonano caricaturali - prova a immaginare Sinatra che canta il refrain di Starman. Forse quello che suonava alieno, sotto il cerone argentato o iridescente, non erano che le progressioni armoniche di un passato neanche tanto lontano, ma ormai oltre l'orizzonte dei baby-boomers.

Io però sono cresciuto negli '80 - non è colpa mia. David Bowie faceva parte del paesaggio, molto più di tutti gli altri dinosauri rock pre-77: per esempio, in edicola c'era sempre la sua faccia. Rockstar lo metteva almeno su una copertina all'anno, che uscisse con un disco o no. Era un mondo musicale molto diverso: esisteva soltanto il presente. I video avevano ucciso le star della radio e alzato un argine invalicabile tra il mondo del passato e il nostro. Il nostro era un mondo a colori: canzoni e videoclip erano la stessa cosa, e Videomusic non trasmetteva pezzi anteriori al 1982. Credo che il video più antico fosse proprio China Girl (la versione censurata, ovvio). A metà anni Ottanta non avevo mai ascoltato gli Zeppelin e più di una canzone dei Pink Floyd; avevo una nozione vaghissima di Beatles e di Rolling Stones; Bowie era l'unico eroe del passato che riconoscevo al primo colpo. Soprattutto sapevo che dietro di lui c'era una storia lunga e complicata, che prima o poi qualcuno mi avrebbe raccontato. Nel frattempo però capivo che il passato era una terra straniera - e probabilmente più intrigante del presente: quel poco di Bowie che passava in tv (Heroes, Ashes to Ashes, Let's Dance, Look Back in Anger) era completamente diverso da tutto il resto. Suonava strano, o come si diceva allora, "poco commerciale".

Questa opinione di preadolescente scemo, Bowie ovviamente non la condivideva, come ho scoperto più tardi. Non è colpa mia, ma sembra proprio che io abbia conosciuto B. nel suo periodo peggiore. Lui nelle interviste parla malissimo del sé stesso anni '80 e dei brutti dischi che faceva. È un giudizio che riguarda senz'altro Never Let Me Down, ma non ho mai capito se lo estendesse anche alle colonne sonore di Absolute Beginners o Labyrinth o Tonight - per me quella roba era in effetti incredibile, distante mille miglia dai suoni di allora che mi sembravano falsi come la plastica. Quello che mi sorprendeva sempre di Bowie era il modo che aveva di incastrare strofe e ritornelli che sembravano non avere nulla in comune. Prendi Let's Dance. La strofa è puro Nile Rodgers, avrebbe potuto stare in un disco degli Chic di tre anni prima. Il ritornello se ne va dalle parti di Brel, con tutto l'annesso melodramma: because my love for you could break my heart in two. Poi si materializza dal nulla un coretto alla Twist and Shout, e quando stai per intonare Shake it up baby, ritornano gli Chic. Nel video intanto esplodeva una bomba atomica. Anche nel mio cervello. Ci sono altri pezzi di quegli anni che nessuno vi citerà tra i migliori di Bowie - Loving the Aliens, Underground, in cui succede qualcosa del genere. Avventure musicali di quattro minuti. Erano cose da classifica, ma mi sembravano esperimenti di un pazzo. Mi piacevano. David Bowie era la mia risposta preferita al paradosso dei viaggi nel tempo: se sono possibili, perché nessuno viene a visitarci dal futuro? E un viaggiatore del futuro catapultato negli anni '60, che altro avrebbe potuto desiderare di diventare se non una rockstar decadente? 

In seguito, come avevo previsto, qualcuno mi raccontò la storia per esteso. Conobbi i personaggi, Major Tom, Ziggy Stardust, il Duca Bianco e tutto il resto. Oggi la mia idea di Bowie si sovrappone con quella del quarantenne medio europeo che esprime il suo cordoglio su facebook. Ho naturalmente le mie idiosincrasie - preferisco il lato B di Diamond Dogs a quello di "Heroes" - ma non è che siano così interessanti. Il Bowie che vorrei salvare è l'alieno che precipitò nella mia infanzia, coi suoi accordi stranamente familiari ma diversi da quelli di chiunque altro. È stato davvero lui a insegnarmi a fare quel che mi pare, con la chitarra e sulla pagina, mescolando alto e basso, George Orwell e la disco? Non lo so. Di sicuro lui in quegli anni c'era. Tanti altri erano già scomparsi, o poco accessibili. Lui c'era, e non se n'è mai davvero andato - sempre diverso da tutti, uguale a sé stesso. L'idea che stavolta ci abbia lasciato davvero mi turba più di quanto non dovrebbe.

13 commenti:

  1. io l'ho conosciuto alle medie, le mie: tipo inizio anni '70. una volta ho scandalizzato mio fratello perché ho comprato un libro dell'arcana editrice con i testi delle sue canzoni, invece di un libro con i testi delle canzoni di bob dylan...
    pochi anni dopo mi sono lasciato prendere dal jazz e be' john coltrane vinceva su tutto. solo un po' dopo ho imparato a far convivere le cose. negli anni '80 l'ho un po' schifato e poi, dopo, l'ho rivalutato.
    ora ho un po' dei suoi dischi sull'ipod e un paio di canzoni perfino sull'ipoddino che uso quando corro.
    per me è capitato al momento giusto: in tempo per farmi capire che il mondo era grande e meno meschino e noioso di quel che sembrava a me.
    purtroppo di accordi non capivo un cazzo allora e oggi ne capisco uguale...

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  2. Viste le coincidenze cronologiche, sembrerebbe che abbia voluto scegliere il momento esatto in cui andarsene: che abbia voluto lasciarci un'ultima opera d'arte totale?
    Certamente Blackstar può essere considerato, tra l'altro, come il tentativo di rappresentare il pensiero umano nel momento in cui si sforza di concepire la morte.

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  3. Hai scritto una cosa perfetta e che condivido appieno: Bowie non era solo canzoni e look, era capacità autoriale e sperimentale di altissimo livello, era metabolizzazione di stili e idee che diventavano sempre ed inequivocabilmente sue. Il fatto che dietro a cose distanti come Low, Let's Dance e Outside si distingua sempre in modo evidente il suo marchio è splendido.
    Concordo che mi sarebbe piaciuto leggere più approfondimenti musicali e meno costume: il metodo di scrittura basato sulla manipolazione di improvvisazioni con la band, il chiamare musicisti diversi per utilizzare le loro caratteristiche e i loro input, Bowie era un musicista unico prima di ogni altra cosa.

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  4. Se devo dir la mia: un grande, ma non un grandissimo. Il problema maggiore di Bowie è che sotto tutte le maschere sembra sempre che non ci sia nulla. In nessuna delle sue canzoni hai l'impressione che si sia veramente raccontato. Chi era Bowie uomo? Quali erano i suoi sogni, le sue paure, le sue speranze, i suoi dolori?

    Detto questo, aveva un talento melodico enorme. Ha sfornato canzoni musicalmente memorabili forse più di ogni altro. Un performer ed uno storyteller straordinario. Forse non sempre il migliore interprete delle proprie canzoni.

    Poi io l'ascolto sempre, eh.

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  5. Faresti un favore a un lettore assiduo? Ho la tua stessa curiosità e il tuo stesso problema: vorrei leggere qualcosa sull'aspetto tecnico della sua musica, ma non so a quale fonte rivolgermi e non trovo nient'altro che coccodrilli. Se trovi tu un pezzo interessante, ti prego, passami il link

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    1. "parlare di musica è come ballare di architettura"

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    2. Eppure, quando Zappa era a Praga, Michael Kocáb ottenne la sua attenzione solo mettendosi a parlare di musica. Vorrà dire che tocca fare un corso di danza Bauhaus.

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    3. ah, certo; e mia moglie quando è in bagno legge le scatole di detersivo. cionondimeno...

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    4. Mi permetto di ribadire il concetto:
      https://c2.staticflickr.com/6/5514/10594337683_fba7f7aa79_b.jpg

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    5. Katana, è un grosso problema, con la scusa che si balla di architettura non c'è nessuno che faccia un'analisi tecnica. Sono il primo a sentirne la mancanza.

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  6. Per farmi perdonare dell'OT:

    http://www.secretsofsongwriting.com/2013/01/09/song-analysis-david-bowies-where-are-we-now/

    (Mi rendo conto che non è un'analisi generale dello stile musicale di Bowie, ma magari può essere utile "induttivamente". Purtroppo, a parte i coccodrilli, internet rispecchia come sia più facile pontificare sui testi che analizzare pentagrammi...)

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  7. Io ho trovato questo:
    http://loveboat.forumcommunity.net/?t=176151

    E' una vecchia trascrizione (2003) di un botta e risposta tra Piero Scaruffi e Federico Romagnoli. Il primo è un noto detrattore di Bowie. Il secondo è un estimatore. Saltano fuori molte analisi tecniche e informazioni interessanti.

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  8. Ciao, ripasso piu' di un mese dopo - mese passato a spulciare lo spulciabile su Bowie. Nel bel documentario "5 years" della BBC c'é una intervista a Rick Wakeman che parla degli accordi di Life On Mars in maniera molto tecnica, e ti spiega perché non é banale trovarsi quel dato accordo in quel momento della canzone. Purtroppo non trovo nessun link in streaming a quel documentario, ma consiglio di procurarlo e guardarlo tutto!

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