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sabato 15 aprile 2017

Daniel Blake sono io, sei tu, noi voi essi

Io, Daniel Blake (Ken Loach, 2016).

Che inquadratura statica, asimmetrica, che colori smorti.
Daniel Blake un giorno era un signore che si fece arrestare fuori da un ufficio dell'impiego. Non ce la faceva più. Dopo un infarto il medico del lavoro gli aveva proibito di lavorare. La previdenza sociale, per dargli il sussidio, pretendeva che cercasse un lavoro. Così lui andava in giro cardiopatico per le officine, lasciava il suo curriculum, e il bello è che qualche lavoro glielo offrivano pure ma lui doveva dire di no, lui non poteva lavorare. Poteva solo cercare lavoro, anzi era obbligato a farlo.

(C'è chi dice che i film di Ken Loach non sono cinema. Tanto per cominciare sono tutti a tesi, e pure la tesi è sempre quella, non potrebbe almeno cambiarla un po'? E poi è sempre tutto così appiattito, così realistico -  ma senza quella fissa per i dettagli dei cineasti che hanno pretese - in una parola, così televisivo).

Che fotografia discutibile, e le luci poi, mah. 
Daniel Blake è quella collega che un giorno in lacrime ti ha chiesto se potevi passarle un assorbente; è quel vicino a cui stavano staccando la luce l'estate, il riscaldamento in ottobre. Daniel Blake è quel signore in biblioteca che deve andare su internet per compilare un modulo, e all'inizio ti fa ridere perché non sa dove mettere il mouse, ma dopo dieci minuti che cerchi di spiegarglielo no, non ti fa più ridere un cazzo, il mondo contemporaneo dal punto di vista di un non vedente.

(C'è chi dice che Ken Loach è superato. Non ha l'intensità dei Dardenne, la profondità di Mungiu, alla fine gira sempre lo stesso film).

Daniel Blake è quel tuo collega che un giorno si è ammalato e a tutti dispiaceva, all'inizio; ma col tempo ha prevalso il fastidio, lui proprio non si rassegnava a pre-pensionarsi e faceva sempre più assenze, sempre più problemi, finché un giorno è morto e di nuovo a tutti è dispiaciuto, ma almeno aveva finito di soffrire: e anche voi.

(C'è chi dice che Ken Loach non fa più cinema, se mai l'ha fatto. Prende un caso limite, e ci imbastisce il solito temino veterolaburista. Il suo Daniel Blake è l'ennesimo martire della società. Non ha difetti, divide il suo sussidio con gli orfani e la prostituta).

Daniel Blake sarò io, il giorno che qualcuno mi dirà che non posso più farcela... (continua su +eventi!) e all'Inps mi diranno che per la pensione è troppo presto, che ci avrei dovuto pensare prima. In realtà ci sto pensando, ma, ecco, una soluzione proprio non la vedo. Tranne salutare tutti, esser gentile con tutti, e sperare che quel giorno qualcuno sia gentile con me.
(C'è chi dice che Ken Loach non fa cinema, fa propaganda; che la società è un po' più complicata di Poveri ma Buoni contro il Sistema. Lo è senz'altro).
Daniel Blake quel giorno ha scritto con la bomboletta che pretendeva un riesame del suo caso prima di crepare. Ma fuori nella strada c'era solo un gruppo di signore che andavano a un addio al nubilato e un ubriacone che ha inveito contro i poliziotti, quando sono venuti ad arrestarlo. Nessun altro avrebbe fatto caso a Daniel Blake - ma forse in quel momento passavano anche Ken Loach e il suo sceneggiatore di sempre, Paul Laverty. Pochi mesi dopo Daniel Blake era a Cannes e ha vinto la palma d'oro. Lo so che è stupido, ma è come se l'avesse vinta anche per me, per te, per noi. C'è chi dice che non è cinema, Ken Loach, e in effetti può darsi. Ma certi giorni mi sembra di non avere poi così bisogno del cinema, mi sembra di avere più bisogno di Ken Loach.

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