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giovedì 7 dicembre 2017

È facile ridere dei Liberi (e Uguali)

È facile fare ironia su Liberi e Uguali – la nuova formazione politica tenuta a battesimo domenica scorsa – e molti osservatori infatti non hanno perso tempo. Tanto per cominciare è un raggruppamento di sinistra, e mentre la destra è per definizione inquietante e in crescita, la sinistra è sempre sventurata e in crisi. È una questione di percezione, che nulla ha a che vedere coi fatti o coi numeri (in questo momento i sondaggi danno a LeU qualche punto in più di Fratelli d’Italia, una formazione di destra che ha una storia altrettanto travagliata).
Quando si parla di sinistra non ci si stanca mai di rivangare i dissidi, le scissioni, i partitini che fanno più notizia quando si spaccano di quando si ricompattano. In effetti LeU raccoglie i cocci di tre piccole scissioni del PD: i fuoriusciti di quest’anno che hanno creato il Movimento Democratico Progressista Articolo Uno; i civatiani di Possibile che erano usciti già nel 2015; il gruppo di Fassina, che nello stesso 2015 aveva formato Sinistra Italiana con i vendoliani di Sinistra Ecologia Libertà, partito che a sua volta nasceva da due microscissioni in seno a Rifondazione Comunista e PCdI, e dalla fusione con alcuni ambientalisti – ma a questo punto probabilmente vi siete persi, servirebbe un disegno e su internet ce ne sono di divertentissimi. Il disegno poi si potrebbe prolungare andando indietro nel passato fino al 1989 – ma anche al 1968 – ma anche al 1890, perché il frammentarismo della sinistra ha radici antiche, e al di là delle facilissime ironie è un fenomeno strutturale: se la sinistra è il luogo (mentale) della libertà e del confronto, è abbastanza logico che sia anche il luogo delle divisioni, dei dissidi, degli scazzi – chi preferisce obbedire a un capo può andarsene a destra, dove scissioni e scazzi ci sono comunque, ma fanno meno notizia.
 



(Ho scritto un pezzo per TheVision, si chiama proprio È TROPPO FACILE FARE IRONIA SU LIBERI E UGUALI).

È facile ridere di Liberi e Uguali, magari facendo notare la contraddizione tra l’impostazione progressista e l’età media degli esponenti più importanti: Pietro Grasso, nominato leader per acclamazione, ha 73 anni. Massimo D’Alema, condannato dal suo personaggio a impersonare l’eminenza grigia della situazione, ne ha 68. Pierluigi Bersani 66. La sinistra non la dovrebbero fare i giovani? Sì, e infatti tra i Liberi e Uguali ci sono anche Giuseppe Civati (42) e Roberto Speranza (38). Il fatto che gli anziani siano più spesso inquadrati è in parte un effetto ottico: i giornalisti discutono più facilmente di e con personaggi che sono già stati a lungo sotto i riflettori. Fino a qualche anno fa questa era la prassi in tutti i partiti dell’arco costituzionale: poi sono arrivati i grillini e i rottamatori renziani, e oggi, guardando un notiziario, è più facile imbattersi in un politico quarantenne che in un sessantenne. Berlusconi è ovviamente un’eccezione, e la sinistra è un’altra – ma quest’ultima è un’eccezione tutt’altro che italiana: Jeremy Corbyn, leader dei laburisti inglesi, ha la stessa età di D’Alema; Bernie Sanders, agguerrito candidato di sinistra alle primarie del Partito democratico USA, ne ha tre più di Pietro Grasso. Anche loro sembravano rispettabili “vecchietti”, con entrambi i piedi nella terza età, prima di svelare un carisma d’altri tempi appena la campagna elettorale è entrata nel vivo: a Grasso potrebbe succedere la stessa cosa? Vedremo. Senz’altro sinistra e giovinezza non sono più sinonimi, ammesso che lo siano mai stati. Se non lo sono in Gran Bretagna o negli USA, non c’è motivo che lo siano in Italia, dove gli elettori da (ri)conquistare hanno un’età media ancora maggiore.

È semplice fare ironia su Liberi e Uguali, non solo insistendo sull’età dei protagonisti, ma anche sui loro trascorsi; con l’importante eccezione di Grasso, che fino a cinque anni fa faceva il magistrato, quello che accomuna D’Alema, Bersani, Civati, Speranza, Fassina e compagnia sono le sconfitte. È gente che ha perso quasi sempre e quasi tutto – a volte con onore, ma a sinistra “con onore” non significa poi molto, contano i risultati. Non parliamo soltanto di sconfitte elettorali (contro Berlusconi in parlamento, contro Renzi nel PD). Parliamo anche di sconfitte strategiche: D’Alema si fece prendere in giro da Berlusconi con la bicamerale del 1997, Bersani si fece prendere in giro dai grillini con il famoso vertice in streaming del 2013; anche Civati deve aver commesso qualche errore se nel 2010 era uno dei leader della Leopolda con Renzi e oggi non è nemmeno più nel PD. E così via. È semplice immaginare Liberi e Uguali come un raduno di rancorosi, ognuno a suo modo animato da un proposito di rivalsa, se non di vendetta. E le cose potrebbero anche essere così: alla fine la politica è fatta dagli uomini, e gli uomini sono fatti anche delle loro debolezze.

Allo stesso tempo, se insistiamo troppo sulle debolezze, rischiamo di perderci molto. Oltre alle mille motivazioni personali che possono spiegare la longevità di alcuni personaggi, alla base della nascita di Liberi e Uguali c’è un ragionamento lineare: a sinistra di Renzi c’è molto spazio da riempire. Quanto? Diamo un’occhiata agli altri Paesi dell’Europa occidentale. In Germania la Linke è quasi al 10% – molti voti li sta erodendo ai Socialdemocratici, che da più di dieci anni scontano l’alleanza elettorale con i Cristiano-Democratici della Merkel. In Francia il partito di sinistra di Mélenchon in Parlamento ha ottenuto appena il 3%: in compenso il suo leader col 19% di voti al primo turno ha mancato di appena due punti percentuali il ballottaggio presidenziale. In Gran Bretagna c’è un sistema elettorale molto diverso, che ha dissuaso la sinistra laburista da qualsiasi tentazione scissionista; il risultato però è che dopo tante sconfitte, oggi la sinistra controlla il partito. In Spagna il successo improvviso di Podemos (che nel 2016 valeva il 20% dell’elettorato) è un caso a parte, forse più affine all’affermazione altrettanto improvvisa del Movimento Cinque Stelle in Italia. In Grecia, anche grazie al super-premio elettorale, Syriza è al governo ormai da tre anni – tre anni di crisi nerissima in cui il primo ministro Alexis Tsipras non si è esattamente potuto permettere una politica antiliberista, ma tant’è. Syriza, per altro, è un bell’acronimo che nasconde all’osservatore distratto una tipica storia di frazionismo di sinistra: la sigla sta per “Coalizione della Sinistra Radicale”, e il suo percorso cominciò nel 2004 con una piattaforma programmatica che mise insieme cinque piccoli partiti marxisti, altermondialisti ed ecologisti.

Insomma, per quanto possano sembrare ridicoli e incerti i primi passi di Liberi e Uguali, bisogna riconoscere che anche le più recenti storie di successo della sinistra europea sono iniziate così: frammenti di esperienze passate che tornano assieme, trovano leader che a volte sono facce nuove (Tsipras, Iglesias) e altre volte decisamente no (Corbyn), e occupano uno spazio esistente. Perché – e questo va sempre ricordato – uno spazio a sinistra esiste ancora, e se non lo occupa Grasso lo occuperà qualcun altro. Anche Di Maio, perché no? Non è un caso che di recente abbia proposto di reintrodurre l’articolo 18. Non sarà l’argomento più trendy, ma c’è una fetta di elettorato che è sensibile esattamente a queste proposte: fanno meno notizia di due o tre bande di esaltati in bomber nero che lanciano fumogeni sotto le redazioni dei giornali o disturbano le assemblee, ma sono pur sempre due, tre, magari quattro milioni di potenziali elettori in più. E non si capisce nemmeno perché dovrebbero diminuire in futuro – soprattutto se il PD di Renzi si dovesse ritrovare costretto dopo le elezioni a un governo di coalizione col centrodestra di Berlusconi: proprio la situazione in cui di solito i voti travasano dal centrosinistra di governo alla sinistra di opposizione. Quanto allo scenario alternativo – un’eventuale alleanza di governo tra il M5S di Di Maio e LeU, fin qui sembra soltanto un bluff pre-tattico: difficilmente l’elettorato grillino potrebbe mandare giù la contiguità con personaggi che Beppegrillo.it addita al pubblico ludibrio da sempre (quando Bersani avverte di essere ancora disponibile allo streaming, rasenta il comico, non si sa quanto involontario). Allo stesso tempo, è bastato annunciare la nascita di un nuovo soggetto a sinistra perché l’articolo 18 tornasse un argomento elettorale anche per i grillini: la politica si fa anche così. Non sempre si vince, anzi, mai, ma a volte riesci a portare i vincitori nel tuo campo. Sarebbe già molto (per la sinistra italiana).

6 commenti:

  1. Il punto è che tutte le volte si ripete lo stesso copione, e tutte le volte non va a finire bene. Però ogni volta c'è qualcuno che ci ricasca. Sarà facile fare ironia su LeU, il punto è che forse quest'ironia è meritata. Anche perché questo soggetto politico dà l'impressione di essere solo una manovra di bassa politica, per raccogliere qualche fruttarello nel caos post elezione. Non ci vedo nessun idealismo, nessuna visione alternativa. E infatti c'è già chi, più a sinistra di loro, li accusa di essere solo un'operazione politicista.

    E poi, diciamola chiaramente: è guidata da gente che ha cercato di gestire un partito, ha perso dei congressi e se n'è andata via. Cosa che altri non hanno fatto, verrebbe da sottolineare.
    Detto questo, in bocca al LEUpo. Vedremo cosa saranno capaci di fare questi riempitori di pianure. E alla fine vedremo se ne sarà davvero valsa la pena.

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  2. questo vecchio gatto spelacchiato si è or non è guari bruciato il deretano sulla stufa tsipras-palombelli e non si avvicinerà a nessun'altra stufa accesa spenta o disegnata che sia. più mai più.

    augh, ho detto.

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    1. e. c.: questo vecchio gatto spelacchiato E RINCOGLIONITO voleva dire "stufa tsipras-spinelli", naturalmente.

      mi scuso co' palombella e chiunque altro.

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  3. Comunque, a margine (e mentre aspetto il pezzo su Dylan) una piccola cosa. Se uno non è contento di un orientamento che ha preso il suo partito (peraltro secondo le regole) può fare diverse cose. La prima è assoggettarsi alla disciplina di partito. Da queste parti si dovrebbe sapere cos’è. La seconda, se proprio lo si ritiene caduto in mani estranee e empie, è tentare di riprenderselo, sempre secondo le regole. Eppoi c’è la terza: logorio costante, nella speranza (qui teorizzata) di fare il mega-colpo finale come al gioco del go: si può fare, nel mentre si può anche votare insieme coi fascisti e brindare con la Lega, ma non è illegale - solo un po’ squallido. E poi la quarta, che prende il peggio di tutti gli altri approcci: provare la spallata, fallirla, percepire il rischio di essere candidati a Ostia in fondo alla lista, farsela sotto alle primarie, uscire sbattendo la porta e radunarsi per raccattare qualche voto nascondendosi dietro a un ex magistrato.

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  4. Il fatto è che ci si occupa non del paese e dei suoi problemi ma di onanismo ideologico dove di ideologico rimane poco e di onanismo tanto...e gli altri partiti ringraziano...

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